Su Il Messaggero di oggi c’è un articolo costruito attorno ad una lettera dal carcere di Amanda a Raffaele.
La cronaca oggi è diventata la vera forma di intrattenimento. E il crimine con giallo multietnico a sfondo affettivo il genere preferito.
Su Il Messaggero di oggi c’è un articolo costruito attorno ad una lettera dal carcere di Amanda a Raffaele.
La cronaca oggi è diventata la vera forma di intrattenimento. E il crimine con giallo multietnico a sfondo affettivo il genere preferito.
Il voyeurismo dilaga, nonostante gli appelli disperati; è la pornografia di massa socialmente accettata. La vera “morte in diretta” però si fa ancora un po’ desiderare.
@gky: se si sta facendo della cronaca un genere per l’intrattenimento di massa allora qualcosa nel rapporto tra media e audience va ripensato. Oppure è l’immagine che i media di massa danno delle audience?
E’ come se fosse sparita la linea di distinzione tra realtà e fantasia: tanti vivono la vita come se fosse un film, quello che si fanno nella loro testa, e per scrivere la sceneggiatura vanno a pescare nelle immagini della cronaca …
L’annoso dilemma di chi contribuisce all'”agenda setting” e dei media che ci massaggiano. La cronaca nera suscita da sempre curiosità e una certa empatia, stuzzica la passione del lettore di gialli, nonché paranoie sulla sicurezza personale.
Fino a che punto poi la realtà mediata sia percepita effettivamente come racconto del reale (e quanto racconti effettivamente il reale nella giusta proporzione) o trattata a livello della finzione suppongo sia difficile dirlo; già Cronenberg in “Videodrome” sembrava annunciare la morte del senso critico in favore della totale videoallucinazione.
Il ripensamento… Già, ma a chi spetta ripensare? E chi ha voglia di interrompere un giro che funziona, dal quale trae piacere o capitali?
Sarebbe da farci una tesi.
Una trasformazione in atto da diverso tempo: si è passati dagli articoli “Ucciso tal-dei-tali. E’ stato tizio-piuttosto-che-caio. Il movente è stato il seguente.”, a una sorta di gioco di società in cui viene mostrato ogni dettaglio (notiziabile o meno) come la mappa della casa con il punto esatto in cui è stato ritrovato il corpo, il tragitto (presunto) del corpo negli ultimi istanti di vita, residui organici sparsi ovunque: tracce della vittima in un punto insospettabile, in casa propria!
O ancora il toto-arma del delitto per cui è stato uno zoccolo-che-invece-è-un-sabot-ma-l’oggetto-è-appuntito-e-di-rame-anzinò-si-tratta-di-criptonite e dopo 6 anni siamo punto e a capo.
Si sviluppano dibattiti su chi è l’assassino e si creano fazioni “è stata la madre vs. non è stata la madre”, che poi il pigiama lo indossava o no ancora non s’è capito, allora intercettiamo le telefonate che a seconda di quello che scrivono nei sottotitoli riconosciamo entrambe le possibilità offerte che sono due, quella verde e quella rossa.
Era molto più semplice con i serial killer.
Sceglierei l’opzione: sono i media che si rappresentano le audience.
Luhmann docet.
@Elena: la linea di distinzione tra realtà reale e fiction non è tanto che si sia assottigliata, solo che ci sono oscilazioni continue tra le due dimensioni per il fatto che frequentiamo nella nostra vita sempre più le “vite immaginate” attraverso immersioni mediali.
@gky:è vero. Le logiche di produzioe e del Capitale sembrano aver portato verso questa tendenza senza appello.
@per lgemini: 🙂
@clinicamente testato:Porta a Porta docet!
Anche Matrix con le docufiction non scherza.