Critica della ragione anti ideologica dei blog

Sta terminando la fase entusiastica ed acritica relativa ai blog. Atteggiamento peraltro più che normale nel periodo di emergenza di un fenomeno.
Non che non ci siano state voci “fuori dal coro” – basta ricordare le posizioni relative alla dimensione elitaria dei blog: pochi blog sono molto letti, citati, presenti nei blogroll di tanti… insomma pochi contano e hanno reputazione capace di orientare il giudizio. D’altra parte, si sa, i blog hanno una lunga coda.

La lettura del pezzo di Franco Berardi note sul divenire psicomediatico e di Geert Lovink Blogging, the nihilist impulse
sollecita alcune riflessioni in merito alla relazione tra blog e media mainstream.

Si tratta di una riflessione che può procedere per frammenti.

Primo frammento.

i blog testimoniano e documentano il potere decrescente dei media mainstream, ma non hanno consapevolmente sostituito la loro ideologia con una alternativa.

Detto in altro modo: i blog sono in fondo degli equivalenti funzionali dei media mainstream? Voglio dire: può essere che i blog promuovano differenze di superficie che si snocciolano dietro le molteplicità di forme e di contenuti, ma propongono un fondo uniforme che non sembra riuscire a proporsi come alternativa – strategica e consapevole – alla ideologia dei media mainstream?

Le grammatiche e i linguaggi che fanno riferimento a un pubblico, alla notorietà, ai meccanismi di auto)riflessività che consentono di riconoscersi per differenze ed analogie a partire dai contenuti mediali ecc. si ripropongono apparentemente in modi sostanzialmente uguali. Oppure esistono fratture significative, dei modi nuovi, delle mutazioni di linguaggio?
Sicuramente possiamo dire che l’individuo, anche con i blog, conferma di essere costruito dai linguaggi di massa trovando modi espressivi ed esperienziali dentro questi territori mediali.
In pratica l’appropriazione dei media il myMedia) rappresenta più che una forma di liberazione una forma di accettazione, di autocollocazione in quei territori che lavorano su logiche di espropriazione dei vissuti. E’ vero che con i blog ci troviamo spesso di fronte a forme espressive capaci di riavvicinare che racconta alla sua narrazione. Ma possiamo leggere questo fatto anche cone una forma di autoespropriazione. Ad esempio costruisci un blog di successo e il MKTG lo analizza e usa le tue modalità in modo strategico per rivolgersi ai consumatori. Oppure: il fatto che quando tu stai postando “pensi” nei termini di un pubblico possibile non assoggetta il tuo vissuto alla logica dei linguaggi di massa?

Secondo frammento.

Blogging is neither a project nor a proposal but a condition whose existence one must recognize. “We blog,”

Eppure i blog rappresentano una forma di autoaffermazione. Non c’è pretesa, come nei media mainstream di rappresentare un proprio pubblico. In tal senso emerge un atteggiamento nichilista secondo Lovink.
La ricerca di senso individuale passa dallle forme di auto-affermazione come auto-pubblicazione. Pura testimonianza dell’esistenza individuale, di affermazione del proprio vissuto. Una costruzione che sembra constatare la caduta di centralità dei media mainstream ma che non rappresenta un’alternativa. Blog come una “condizione” esistenziale priva di progetto.

Mediologia e antropologia: due visioni da integrare. Per dar conto della mutazione in direzione post-umana, cioè verso individualità che si costruiscono per contatto mediato, per percezioni spazio-temporali ricombinanti. La riflessione è appena cominciata.

13 pensieri riguardo “Critica della ragione anti ideologica dei blog

  1. Il tutto mi consola o meglio mi conforta. Cioè conferma alcune delle cose che penso in merito. Ma si sa non sono un blogger. Seguirò questo dibattito.

  2. Davvero molto interessante, ma si pone la domanda se i blog sono un universo omogeneo o se non sia il caso di cominciare a fare dei distinguo e raffinare uteriormente l’analisi.

  3. “La ricerca di senso individuale passa dallle forme di auto-affermazione come auto-pubblicazione. Pura testimonianza dell’esistenza individuale, di affermazione del proprio vissuto.”
    i ritrovo in queste poche righe….

  4. la cosa è al tempo stesso interessante e complessa. Difficile da limitare il pensiero alla forma-commento, difficile non commentare.
    Sul primo frammento: i blog nopn hanno sostuito l’ideologia dei media mainstream. Non credo che sia un fatto di linguaggi; e non penso si possano mischiare i linguaggi con l’equivalenza funzionale dei blog. Rendersi conto di questo significa rendersi conto che all’interno dell’equivalenza funzionale possono svilupparsi linguaggi e forme nuove. Ma il fondo resta lo stesso. Il diventare (farsi?) media degl individui apre alle riflessioni del secondo frammento. Non credo che non vi sia pretesa di rappresentare il proprio pubblico, qualunque blogger sa quant’è forte il rapporto con il pubblico…è vero però che forse è proprio nell’avere un pubblico, nel passare dal “we sense” al “we blog” e quindi riconoscere l’altro come produttore (quindi come dotato anch’esso di pubblico) che senbra potersti trovare una logica di condivisione per contiguità che supera i contenuti. fan-blogger (per strizzare l’occhio a jenkins) a prescindere dai contenuti, a prescindere dalle forme che il medium permette. Nella distinzione medium/forma c’è la linea di continuità (ideologica/funzionale) e quella del cambiamento (i linguaggi).

  5. Per Maurizio.
    Concordo sul fatto che l'”universo blog” sia un arcipelago di isole di stabilità nella loro differenza.
    Spesso si tratta il fenomeno come unitario quando occorrerebbe marcare distinzioni.
    Ad esempio quella generazionale, come fa Dana Boyd
    nella sua ricerca. Oppure sulle tipologie di blog e di blogging.
    La domanda che è sottesa è: c’è una mutazione di fondo (sociale e comunicativa: direi di più: antropologica e mediologica)che porta gli individui al “fare blog”?
    Eppure è evidente che una dimensione matura del dibattito dovrebbe portarci a ragionare su più livelli. Omogeneità e differenze.

  6. Penso che i blog non stiano detronizzando i media classici, ma ne stiano al contrario confermando la potenza.
    Potenza non intesa come possibilità e capacità informazionale, bensì come opportunità dell’apparire. L’essere presente in video come sicurezza di esistenza nell’immaginario altrui.
    Una sorta di narcisismo, quindi.
    Chi “blogga” lo fa sapendo, sperando che qualcuno legga, altrimenti verrebbe meno l’essenza stessa del blog; il pubblico ne è parte integrante.
    Il contenuto è spesso accessorio, non importa cosa si dice, l’importante è dire.
    Dire per mostrarsi. Non mostrare cosa si è, semplicemente che “si è”.
    Vale lo stesso discorso che è alla base dei video amatoriali, la cui produzione è direttamente proporzionale alla risonanza che ne viene data dai media mainstream.
    Una sorta di corsia preferenziale per “arrivare”.
    Tutti possono farlo.

  7. santa pace, io non capisco questa ricerca continua di spaccare il capello in quattro. Dietro ad ogni blog c’e’ una persona! Punto.

    Ciascuna col suo carattere e la sua personalità. C’è davvero tanta differenza nell’eesprimersi al bar o con gli amici piuttosto che sul blog?

    Fa pur sempre parte di un’esigenza umana fondamentale: esprimersi, comunicare con altri. Si può fare in forma verbale o in forma scritta, in tv alla radio o sui gionali o scrviendo libri.

    Ha senso ha star lì a interrogarsi pensosi se i bloggers sono biondi, sono alti o bassi, se sono mediamente sovrappeso o cose simili? 🙂

  8. @ aghost: chiaro, limpido, condivisibile. Forse il fatto che il numero dei bloggers è cresciuto e che è diventato un fenomeno molto visibile anche fuori dalla rete (penso a come ne trattano continuamente i media mainstream)porta ad una nuova tematizzazione.
    In questi anni se ne è parlato molto nella blogosfera oggi comincia una riflessione che parte della conapevolezza che la rete nella sua maturità (quella di luogo sociale) sta assumendo.

  9. grazie gboccia 🙂 Come ho replicato scritto nel blog di Zetavu dal quale è partita la “polemica”, a me pare che i problemi dei blogger siano altri che quelli su cui continua a menarla Carlini e lo stesso Zambardino 🙂

    Il problema più importante dei blogger, che sono in fondo la parte più attiva -e direi interessante- della rete, mi pare sia quella di usare questo nuovo mass media per accorciare finalmente le distanze tra cittadino e potere politico.

    Usare finalmente la rete insomma non solo per fare p2p ma come mezzo di espressione e anche pressione. Abbiamo visto di recente due pallidi esempi: il portale italia.it e il documentario della BBC sulla pedofilia dei preti, due esempi in cui la rete era avanti e i media mainstream indietro.

    Siamo appena all’inizio e c’è ancora tantissima strada da fare. Ma per rendere il cittadino consapevole e partecipe, e non un decerbrato che passa le ore davanti alla Scatola, c’è anzitutto da abbattere il digital divide, levare il monopolio della rete a Telecom, far partire una nuova alfabetizzazione informatica di massa. Ma vedo che si va in direzione contraria, gli investimenti per la rete restano miserevoli mentre si continua invece a buttare soldi nel digitale terrestre.

    Trovo francamente avvilente che, in questa situazione, giornalisti anche colti e preparati perdano il tempo a far l’esame del sangue tutti i giorni ai blogger, stiano lì col ditino alzato a ricordar loro quanto sono imperfetti. Insomma a baloccarsi su questioni che mi sembrano francamente irrilevanti. Sbaglio?

  10. @aghost: la tua riflessione sul rapporto tra professionisti dei mass media e sistema dei media è molto centrale. E’ evidente che molto spesso oggi leggiamo articoli che fanno le pulci ad una realtà che sra creando mutazioni importanti, che è in continuo divenire e che probabilmente anticipa comportamenti nei confronti dei media che investiranno anche la società fuori rete e le professioni comprese quella gionalistica (vedi grassroots journalism e cose così).

    Credo però anche che “l’esame del sangue” quotidiano sia il segnale che stiamo osservando un fenomeno che deve essere sempre monitorato. Solo che i valori fuori scala degli esami mostrano più il fatto che ci troviamo di fronte ad un mutante che ad un paziente ammalato. Si misura l’anomalia, ma con strumenti spesso tradizionali (ad esempio linguaggi e forme della società di massa) che risultano tarati su altre – veccie? – forme.

  11. si gboccia, però mi pare che gli esami del sangue siano spesso fatti più per denigrare, o comunque ridimensionare, la portata del nuovo media piuttosto che alleviarne le ipotetiche “sofferenze”.

    Mi pare insomma di vedere il sofferente di gotta che dà consigli a chi mette i denti da latte… 🙂

    Ci sono però dei “gottosi” che, fortunatamente, sono perfettamente consci della loro malattia e sono anche in grado di analizzarne le cause: mi riferisco in particolare al giornalista Marco Pratellesi e alla sua disamina, condivisibile mi pare, su “La morte dei giornali, delitto o suicidio?”

    http://mediablog.corriere.it/2007/06/la_morte_dei_quotidiani_delitt_1.html (leggere il pdf, molto interssante)

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