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[Nota: Leggendo i commenti sparsi in Rete forse vale la pena approfondire meglio e lasciare una traccia a partire da !reperti” diretti di cui si parla: i tweet.]
Il post “L’attentato ad Equitalia: la rabbia sociale, la banalità del male e la Rete” parte da una considerazione: quello che le persone scrivono su Twitter “mettendoci la faccia” non va sempre imputato alla stupidità sociale. I molti che hanno ripreso la notizia del pacco bomba ad Equitalia esultando, mostrano anche il versante di una “rabbia sociale” che trova una sua dimensione espressiva in un continuum che va dal cinismo all’odio. Poi ci sono i molti che contrastano questo atteggiamento e che richiamano alla capacità di ragionare in modo meno umorale.
In fondo la Rete è un territorio in cui l’agire discorsivo costruisce in modi nuovi la sfera pubblica. E’ uno dei luoghi oggi in cui si rappresenta la riflessività del sociale, in cui ri-deliberiamo continuamente le nostre intenzioni mettendo alla prova (collettivamente) ciò che “pensiamo di pensare”, mostrando quindi cosa siamo e vorremmo essere. Questo general intellect riflessivo – permettetemi la definizione sopra le righe – è un laboratorio in pubblico di emotività e razionalità che si condensano attorno agli eventi della vita in cui si mostra la nostra riflessività sociale.
Ecco, questo Storify cerca di rappresentare, per quanto possibile, questa riflessività, attraverso quello che accade su Twitter tenendo conto della complessità della vicenda. Il senso è che dobbiamo andare oltre la vicenda di Equitalia e provare ad osservare come costruiamo adesioni e distaccamenti, mettendo alla prova il modo di raccontare come siamo cittadini e che società abbiamo in mente.
Lo dice bene @ezekiel: -
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Questo Storify è, in qualche modo, anche una reazione all’emergere
di molte analisi giornalistiche un po’ a “senso unico” e di costume,
come il pezzo scritto sul Corriere della sera a proposito della “ironia
sadica verso l’Agenzia” che ha per titolo «”Otto milioni di mandanti”. Applausi choc su Internet».
Come al solito il rischio è di trattare la Rete come un’entità dotata
di pensiero, come se fosse un soggetto e perdere di vista la sua natura
di ambiente in cui si producono e rappresentano le differenze: perché
non è solo vero che “è motlo arduo rintracciare in Rete un qualche
barlume di solidarietà”. La situazione è più complessa ed ambivalente.Partiamo
da Spinoza, che fa della satira sociale il suo campo di battaglia, e
che rappresenta uno di quei tweet che è stato molto re-tweettato lungo
le timeline: -
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per passare ad altre reazioni sparse che scivolano dalla satira (?) al cinismo. In realtà sono poche le espressioni dirette e moltissimi i re-tweet: le persone si riconoscono in alcune massime che esprimono il loro stato d’animo e lo “spirito del tempo”. Queste le 3 principali:
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Ovviamente troviamo tweet e re-tweet in cui si prende posizione, anche in maniera forte che mostrano la “qualità” della rabbia sociale:
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Ma detto questo non possiamo ignorare la natura ambivalente della realtà che stiamo trattando: gli anticorpi all’odio li troviamo emergere negli stessi territori in cui la rabbia prende il sopravvento. In questo senso questo fenomeno è anche una grande occasione di “riflessività”, per confrontarci con noi stessi, per leggerci nella timeline ed osservarci attraverso i pensieri degli altri. Prendendo distanza, aderendo, cercando di capire quale realtà sociale stiamo costruendo:
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A volte la banalità del male si affronta anche con gesti semplici come quello di @_arianna che lo fa e lo dice:
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Il tuo discorso è interessante.
Le parole andrebbero soppesate, specie quando si parla di bombe e persone che ci rimettono le dita e non solo.
Faccio sommessamente notare che, in tema di parole, trovo scandaloso come una macchina vessatoria simile l’abbiano potuta chiamata EQUITALIA. Equa Italia… Equa?
Mi sto domandando quanto possa aumentare l’odio del quale parliamo, nei confronti di questa entità, l’uso di una parola così inadatta e oserei dire SBAGLIATA. Sono impazzito?
Certo che le parole hanno un loro peso! E la scelta di quella che definisce la struttura, in relazione ai problemi concreti di gestione emersi, non sembra ottimale.
e’ la famosa Neolingua di Orwell. Hanno usato 1984 come fosse un manuale d’istruzioni.
Personalmente però devo rilevare che a Londra il carattere delle argomentazioni non è stato molto diverso.