La giornata della trasparenza è una delle iniziative per il Freedom of Information Act italiano di cui vi ho già parlato qui. Sono stato invitato come molti sostenitori a partecipare e questo è il mio intervento scritto che verrà distribuito in sala. Lo metto a disposizione anche di quella parte della sala che sta dietro uno schermo.
Sono convinto che la vera occasione per introdurre un principio di trasparenza nell’informazione in Italia sia oggi rappresentata dall’agenda digitale. So che nei giorni scorsi sembra esserci stata una disponibilità del Governo di recepire dentro l’agenda digitale alcune norme europee che, di fatto, sbloccano la situazione attuale aprendo l’Italia a quella trasparenza che può cominciare ad intaccare il principio di omertà. Spero che nella giornata di oggi arrivi l’annuncio ufficiale.
Il principio di trasparenza: ripensare con FOIA l’equilibrio informativo tra cittadini ed istituzioni
In Italia ci troviamo di fronte ad un contesto di trasparenza vincolata dell’informazione. La trasparenza delle pubbliche amministrazioni rende ad esempio possibile l’accesso agli atti se esiste un interesse legittimo o rende possibile la trasparenza dell’operato di chi ricopre un incarico di funzione pubblica ma solo alla sua amministrazione di riferimento. Trasparenza per il singolo, quindi, ed auto-trasparenza per l’amministrazione. Il soggetto collettivo, la cittadinanza, non sembra essere contemplato ed il sapere è vincolato ad una partial disclosure: una trasparenza limitata da fasci di luce che mettono sotto il riflettore porzioni di realtà, spesso impedendo di illuminare il contesto e rischiando di esaltare quello che vediamo illuminato. Un’esaltazione che avviene ad esempio attraverso l’operare dei media mainstream e del giornalismo, come se si trattasse della totalità della realtà e non solo di una porzione di questa.
Sappiamo ad esempio chi sono i privilegiati che hanno un pass per i “percorsi preferenziali” nel centro cittadino: i giornali pubblicano le liste e la nostra indignazione di cittadini “comuni”, spulciando i nomi e motivazioni per l’accesso che sono talvolta risibili, sale. Ma questo è solo quello che mostra il fascio di luce (la trasparenza delle liste) e sposta il nostro asse informativo sui “soliti privilegiati” senza ricostruire il sistema del privilegio. Accedere ai dati dell’ufficio competente, alle note di servizio, ricostruire il meccanismo di concessione al di là delle pratiche ed i vincoli burocratici, ecc. consentirebbe di osservare il contesto al di là del particolarismo delle liste ma, eventualmente, come vizio di sistema.
L’intrasparenza dei dati si associa così ad un’abitudine nel costruire la notizia che si limita alla strategia del “fascio di luce” rinunciando ad osservare l’esistenza delle ombre che con quella luce confinano. Come cittadini e operatori dell’informazione dobbiamo essere più attenti ed interessati al cono d’ombra.
Il giornalismo non deve (non può accontentarsi) di seguire l’approfondimento della notizia attraverso la descrizione degli accadimenti e l’interpretazione di questi fatta attraverso pubblicazione di liste di privilegiati e interviste che commentino lo sdegno. I cittadini non possono limitarsi a seguire in modo umorale uno sdegno, anche motivato, che però distoglie dall’interpretare le responsabilità e le possibili vie di azione.
Una cultura della trasparenza dei dati significa anche abituarsi a fare le domande giuste. Spesso i fatti nascondono sotto di essi una complessità tale che non permette di spiegarli unicamente con quello che si può osservare in superficie. E spesso quello che possiamo osservare in superficie porta a farci le domande sbagliate: limitare a farsi le domande a partire dai dati che ci sono concessi non è la stessa cosa che farsi le domande giuste e cercare quei dati che possono fornire una risposta.
È per questo che occorre premere per una strada che porti alla trasparenza dei dati, perché è questa trasparenza che produce una complessità di fonti da intrecciare per fornire un contesto per capire i fatti.
Per questo un’iniziativa come il Freedom of Information Act (F.O.I.A.) in Italia ha la possibilità di funzionare come attivatore di un mutamento di sistema nel modo di produrre l’informazione che vede crescere la relazione tra cittadini e pubbliche amministrazioni e di sviluppare dinamiche più simmetriche su conoscenza e controllo della cosa pubblica.
La trasparenza dei dati come abitudine culturale diventa così un elemento strategico per costruire un’opinione pubblica più informata e consapevole. E l’accesso diffuso a questi dati costruisce una possibilità fondamentale per questa trasformazione culturale nei diversi campi della conoscenza. Per tale motivo il tema della trasparenza si deve necessariamente connettere alla diffusione di una politica di open data. L’agenda digitale che il Governo attualmente in carica sta faticosamente costruendo dovrebbe vedere il tema dell’open data integrarsi con un quadro di riferimento essenziale come quello che il FOIA può costruire. Si tratta di un’occasione non solo normativa ma culturale. Ha a che fare con la definizione di una costruzione responsabile della relazione fra cittadini e pubbliche amministrazioni, responsabile su entrambi i lati. E ha a che fare con la possibilità di creare un’occasione per una svolta culturale del nostro paese.
Come hanno scritto Valentino Larcinese e Riccardo Puglisi è
inutile farsi illusioni: il Foia non cambierà magicamente la pubblica amministrazione, mentre dovremo comunque aspettarci resistenze di tutti i tipi, oltretutto favorite dalla lentezza della macchina giudiziaria. Si tratta però di un passo nella giusta direzione che speriamo possa nel medio-lungo termine restringere gli spazi di quella cultura della segretezza che ancora prevale nella nostra società.
Ecco, anche solo mettere in discussione la cultura del cono d’ombra rappresenterebbe già un risultato importante.