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Il Fatto Quotidiano vince il premio come miglior sito politico/d’opinione ai Macchianera Italian Awards 2012. Un premio che si costruisce attraverso la capacità di dare visibilità e diffondere contenuti di chi tiene un blog nel sito del fatto. Scrittolettori non pagati.
Il Fatto Quotidiano utilizza il modello dello Huffington Post (motivo per il quale, a mio parere, il gruppo l’Espresso ha importato in Italia lo HuffPost: arginare il mercato e creare concorrenza al Fatto online). Si ripropone così il dibattito su un’editoria che crea un modello fatto di giornalisti pagati e gestori di blog non retribuiti. E’ un modello editoriale vincente e credibile? Ci sono temi di etica della professione che vengono intaccati?Lo storify che propongo ricostruisce/decostruisce uno scambio “a caldo” su Twitter che mette a fuoco il tema.
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Viene annunciato il premio del Fatto Quotidiano come miglior sito politico/d’opinione ai Macchianera Italian Awards 2012
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250 blogger (che scrivono gratis) per il @fattoquotidiano che vince il premio miglior sito politico/d’opinione #MIA20120
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@roccorossitto @semerssuaq il direttore del sito del @fattoquotidiano Peter Gomez lo dice tranquillamente dal primo giorno. @petergomezblog0
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@fattoquotidiano sì certo, tutto legale e detto, ma chi ha ritirato il premio non l’ha detto, ecco tutto cc @semerssuaq @petergomezblog0
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@fattoquotidiano @roccorossitto @semerssuaq ci sono video in cui lo spiego. E almeno 3 interviste. in facciamo giornalismo investigativo0
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La tesi del direttore della testata online Peter Gomez è che la retribuzione è relativa alla relazione giornalisti/news, cioè a chi racconta (e scova) fatti:
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@roccorossitto @semerssuaq e poi Rocco noi i giornalisti li paghiamo per i pezzi di notizie. Gli assunti hanno contratti regolari.0
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@petergomezblog 🙂 se sono assunti hanno contratti 🙂 però ribadisco: il mio tweet era riferito a chi ha ritirato il premio cc @semerssuaq0
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@fattoquotidiano @petergomezblog ma anzi, voi bravi, sono i blogger che non capisco cc: @roccorossitto0
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… e c’è anche una distinzione chiara (almeno culturalmente chiara, anche se nei fatti non credo possa essere così) fra il progetto editoriale online e offline ed il loro sostentamento:
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@roccorossitto @semerssuaq mi piacerebbe fare di piú ma il sito con la pubblicità non va ancora in pari0
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@semerssuaq @roccorossitto molti di loro hanno lavori e professioni. Vogliono solo comunicare qualcosa a tanti. Per i giornalisti é diverso0
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… “per i giornalisti è diverso”… come dire: una cosa è il giornalismo editoriale fondato su strutture e forme consolidate – la testata, i giornalisti, la redazione, i lettori – altro è questa terra di mezzo del giornalismo online, in cui troviamo come soggetti anche chi scrive contenuti in un blog: anche se è inserito in un progetto editoriale, anche se deve essere invitato a farlo, anche se lo spazio viene gestito e (spesso) “filtrato” (penso ai commenti in molte testate online) è comunque come un corpo in qualche modo esterno. E la posizione di questi produttori di contenuti è di ottenere in cambio visibilità e capacità di raggiungere pubblico. Visibilità, quindi, per sé e per le issue che propongono.
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@petergomezblog ok e quelli senza lavoro vogliono visibilità… siam tutti d’accordo cc: @roccorossitto0
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@roccorossitto @semerssuaq non credo che sia ricerca di visibilità. Ma é aver delle cose da dire. Il dibattito libero migliora la società0
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Il modello editoriale è comunque un tema rilevante per capire il dibattito. Stiamo ancora discutendo di strategie di paywalls o di gratuità su porzioni della testata, ecc.
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@immacol @roccorossitto @semerssuaq grazie. Ma ci sono colleghi in gamba anche in altre testate. Il problema vero sono gli editori0
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@petergomezblog se il probl. sono gli editori, voi siete editori: siete quindi il probl.? é il modello che non va cc @semerssuaq0
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@roccorossitto @semerssuaq sul web i lettori non sembrano disposti a pagare per ora per i contenuti. Il nodo é qui0
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@Mgysen @roccorossitto @semerssuaq non va che la pubblicità per ora non basta a coprire il costo del sito. Nel 2013 forse. Oggi no0
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@Mgysen i numeri li fanno ANCHE per i tanti blogger che scrivo > coscientemente > aggratis cc @petergomezblog @semerssuaq0
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E torniamo sul dilemma: ci sono i fati e le opinioni? I fatti devono essere pagati le opinioni no?
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@roccorossitto @semerssuaq si ma io nei blog metto opinioni. Le notizie le pago. Se poi arriverò a permettermelo lo potrò fare con tutti.0
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@petergomezblog ma un editoriale su il fatto di carta lo pagate? Anche le “opinioni” sono giornalismo, o no? Ma dai… cc @semerssuaq0
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@Mgysen @roccorossitto @semerssuaq io sono qui per fare informazione. Non affari. Ma fare informazione ha un costo.0
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@petergomezblog rispetto la trasparenza nel dire “non vi paghiamo” ma non diciamo perché sono opinioni > non fate le annunziate @semerssuaq0
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@roccorossitto @semerssuaq i nostri blogger sostengono la libertà di informare. Il fatto cartaceo viene acquistato. Io non ho quei fondi.0
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@petergomezblog OK già è diverso da dire “sono opinioni”, o no? Non avere soldi è una cosa diversa da dire “sono opinioni” @semerssuaq0
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@roccorossitto @semerssuaq siamo due testate diverse. In totale oggi il web costa circa 2 milioni e mezzo.0
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@petergomezblog bene, due testate diverse. Domanda: se avesse i soldi li pagherebbe? Se sì, il discorso delle opinioni crolla. O no?0
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@roccorossitto @semerssuaq guarda io sono un cronista. Penso che le opinioni valgano 1000 volte meno delle notizie.0
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Il dibattito potrebbe continuare all’infinito, ma come ho già scritto, i termini della questione sono talmente radicati nel mondo dell’informazione del ‘900 da essere poco produttivi per capire la complessità attuale. Un’ultima notazione va fatta: non sono solo lo Huffington Post Italia o il Fatto Quotidiano ad avere un modello online in cui giornalisti retribuiti e gestori di blog non retribuiti si miscelano creando il modello attuale per la circolazione dell’informazione. Non vanno presi, quindi, come capri espiatori. Solo come occasione di discussione pubblica di una realtà in trasformazione che richiede la produzione di una cultura dell’informazione (forse) diversa.
In qualche modo tutto questo fa parte del processo di digitalizzazione. Ha ragione chi pensa che dovrebbe esser pagato per quello che scrive, ha ragione anche chi dice di non aver abbastanza soldi per poterlo fare (certo in entrambi i casi con le dovute eccezioni). E’ in parte quello che è accaduto in ambito musicale: la rete e il digitale hanno permesso di abbattere i costi di realizzazione di un disco e hanno aiutato tante band e etichette a promuoverse e a farsi conoscere molto più facilmente rispetto a prima, ma allo stesso tempo la digitalizzazione ha fatto si che nell’opinione pubblica, specie dei più giovani, si formasse l’idea che la musica sia un qualcosa da avere a propria disposizione in modo immediato e grattuito. Siamo ancora in un momento storico di passaggio…difficile da analizzare, capire e costruire…
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