Ultima parte del metadialogo estivo con LG. La prima parte la trovate qui e la seconda qui.
LG: Dal punto di vista della performance però, per quanto mi riguarda, la palma per la migliore costruzione performativa, dal punto di vista della concezione dello spettacolo stesso e della sua realizzazione nonché del rapporto con il pubblico, è certamente Paso Doble di Kinkaleri. In un tempo che può raggiungere al massimo due ore, Cristina Rizzo improvvisa una breve sequenza di danza che riprende e che trasferisce sul monitor. Da quel momento in poi il tutto consiste nel seguire, la fase di apprendimento – per continui comportamenti recuperati – della performer in scena che interagisce con il suo doppio in video. Fino ad arrivare alla sequenza conclusiva in cui soddisfatta del risultato ottenuto esegue il paso doble, in sincrono con la sua immagine in video appunto.
Il pubblico partecipa. Eccome.
Prima di tutto alla fatica. Si vorrebbe suggerire dove viene ripetuto un errore che la perfomer non riesce a vedere; si impara a rendersi conto della difficoltà che comporta imparare anche pochi passi improvvisati. Si partecipa al tempo che serve, alla soddisfazione finale e alla gratitudine che, l’aveva già detto Barthes, si riserva a tanto sudore, a tanto sforzo e a tanta bravura.
Il senso della performance sta qui: nel mettere a tema il processo che porta all’actual, all’evento finale. Ma senza spettacolo ossia senza compiacimento per lo spettatore che prende parte a quel processo in vista di una gratificazione ben più profonda. Potremmo dire: trasformativa.
GBA: Santarcangelo è interessante proprio perchè rappresenta un osservatorio privilegiato sulle nuove audience, o meglio sulla nuova forma che la relazione produzione/consumo assume. Un po’ sbrigativamente si parla molto spesso di prosumer per definire coloro che partecipano da consumatori al mondo della produzione.
La performance introduce invece un punto di vista migliore per spiegare a cosa ci troviamo di fronte. Il paradigma performativo vede lo spettatore come componente essenziale per fare giocare la relazione tra le due dimensioni su cui si fonda: efficaia ed intrattenimento. Di fatto i kinkaleri riproducono in un meccanismo maggiormente performativo la qualità performativa di prodotti televisivi come “Amici”. Certo, si dirà, ma Paso Doble è un’operazione artistica… esppure i linguaggi introdotti e la forma sollecitata implica le stesse audience performative che Rete e media generalisti stanno imparando a conoscere (e sfruttare).
LG: Dal punto di vista dei contenuti poi credo sia ugualmente interessante – svolgendosi questo meta-dialogo nei e sui media -mondo – il meccanismo di citazione e di riferimento costante ai media.
Non solo in Morte di uno stagista il richiamo a eventi e personaggi di risonanza mediale – una per tutti Sigourney Weaver di Gorilla nella nebbia (passando per Donna Haraway a dir la verità) – ma anche Carrie di Stephen King o la dinamica del rapporto vita-violenza-videogiochi nelle performance My name is Neo, dove il performer Yan Duyvendak si ispira evidentemente a Matrix e You’re dead, ambientato in un videogame di guerra.
Senza dimenticare Blob di Ghezzi, 100 ore di materiale audiovisivo trasmesso in diversi spazi durante il festival.
Che ne pensi di questa dinamica che riguarda in maniera così evidente il sistema dei media ma che ritroviamo nell’arte e nelle sue espressioni dal vivo? Come la leggeresti dal punto di vista dei media mondo?
GBA: Credo che la familiarità difusa dei linguaggi mediali e il fatto che l’immaginario contemporaneo sia immaginario mediale, costituisca un orizzonte ineliminabile di confronto per gli artisti, in particolare per questa generazione che è fondamentalmente tele-visiva. Il sistema dei media produce immagini-immaginario che hanno forza evocativa e capacità diffusiva e virale. Rappresentano quindi un territorio forte di sperimentazione per il sistema dell’arte, sino al limite dell’indistinguibilità dei due linguaggi.