I fatti sono minuziosamente descritti da Mizio in un post intitolato l’ADCI e l’iceberg: il primo è l’Art Directors Club Italiano, con iscritti moltissimi dei creativi delle agenzie più illustri e il secondo è l’Iceberg per antonomasia, quello che ha affondato il Titanic mentre l’orchestra faceva danzare nella sala da ballo spensierati passeggeri.
Si tratta di una storia tutta interna al mondo della comunicazione pubblicitaria italiana che però è una buona metafora del mood che, chi lavora in pubblicità, sta vivendo.
Al di là dei fatti in sé il valore sta nel mettere a nudo un disagio che, secondo me, prosegue il discorso fatto sul futuro della pubblicità.
Come scrive Mizio:
I personaggi presenti in questa storia rappresentano la nostra élite. Sono coloro che danno l’immagine della nostra professione, a prescindere dal fatto che siamo o no iscritti al club. E questa élite ricorda tanto un’altra élite del nostro Paese. Polemiche, bisticci, minacce velate, dimissioni dichiarate e poi subito ritirate, gente che sfrutta la sua carica, giudizi emessi ma trascurati, potere che temporeggia e poi tira diritto per la sua strada ignorando le opinioni della minoranza, opposizione che alza i toni, voci istituzionali e autorevoli che rimangono inascoltate… Per i nostri insuccessi e le nostre frustrazioni possiamo dare la colpa ai clienti e alla contingenza economica, ma la verità è che noi creativi siamo lo specchio fedele del nostro Paese, della nostra società. Alla responsabilità e all’agire in modo diretto e trasparente anteponiamo sempre la furbizia e le scorciatoie. Questo è il motivo principale per cui quello che produciamo fa pena.
Una descrizione spietata, lucida, volutamente sopra le righe (ma chissà poi quanto) per mostrare l’altro lato della crisi della creatività che non è solamente frutto della crisi economica.
C’è una responsabilità etica nel fare comunicazione che passa dalle agenzie che fertilizzano un terreno in cui i giovani creativi si trovano e che, in qualche modo, ha dato la forma al campo pubblicitario oggi. Se pensiamo agli annunci fake creati ad hoc per vincere premi a Cannes, momenti di pura auto celebrazione, ci accorgiamo della distanza che si crea tra la pubblicità e il modo di far crescere la comunicazione del mercato:
Assecondare e promuovere i fake è una cosa eticamente sbagliata e irresponsabile. Non solo perché i fake compromettono il valore del lavoro di chi fa pubblicità sul serio: tolgono la possibilità ai seri artigiani dell’adv di ottenere riconoscimenti (ci sarà sempre un fake con logo più piccolo e un pensiero laterale più arguto ma comprensibile solo agli addetti ai lavori, ndb). Ma soprattutto perché i fake minano la linfa vitale di questo mestiere. Se il meccanismo del fake viene promosso e incentivato dall’associazione di creativi più importante in Italia, chi avrà più voglia di combattere contro ogni impercettibile modifica nel mondo reale? E come cresceranno le prossime generazioni di creativi? Avranno voglia di lottare per la qualità del lavoro oppure diventeranno sempre più cinici e distanti dalla pubblicità vera? “Il cliente vuole questa merda? Diamogliela. Tanto ci mettiamo cinque minuti… poi dedichiamo la nostra intelligenza a produrre fake da caricare su adsoftheworld”.
“La pubblicità vera” … quella che mette in relazione consumatori e impresa attraverso il rispetto e che può contenere un messaggio etico della comunicazione, quella che ha una funzione sociale (nel bene e nel male ricordate Carosello per l’Italia?), quella che fa crescere entrambi i lati del mercato, ecc.
Senza cercare di strizzare per forza l’occhio al “nuovismo” della comunicazione, come troppo spesso oggi capita quando chi fa pubblicità cerca a tutti i costi di dire “la Rete”.
Come nel caso del “virale” per la campagna di Babbo Natale prodotto giocosamente da una grande agenzia italiana (come si legge qui):
Lowe Pirella Fronzoni scopre le sue carte, o meglio, apre il suo regalo. Il misterioso cliente, dal peso internazionale, di cui vi abbiamo parlato questa mattina, altri non è che Babbo Natale.
L’agenzia ha infatti realizzato una campagna virale raccontando il rilancio di Santa Claus, in difficoltà come tanti tra crisi, problemi di immagine, credibilità e appeal della marca.
Vediamolo…
[YouTube=http://www.youtube.com/watch?v=8As-RhNqAPo]
“Virale? Ma per favore… ” come si è molto discusso qui, a casa di markettara.
Ecco, potremmo cominciare dal linguaggio che viene utilizzato, dalla capacità di applicare correttamente le categorie, dal non strizzare l’occhio ad un pubblico che ha conoscenze di superficie (il virale) e generaliste (Babbo Natale) per sfruttare l’occasione che il linguaggio pubblicitario ha: essere sincronizzato con la realtà che ci circonda e saperla raccontare… davvero.
Senza contare che, per quanto riguarda la notizia rilasciata dalla Pirella, si tratta di un altro Fake. Il presidente della Santa Claus Corporation ha confermato il budget a cOOkies anche nel 2010. Lavoriamo per Lui dal 2006: http://kttbblog.splinder.com/post/21899744/cOOkies+smentisce+Lowe+Pirella
A proposito, Buon Natale 🙂
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