C’è più di qualcosa di interessante nella galleria di ritatti doppi tra first e second life di Robbie Cooper presentati dal New York Times.
Avatar che clonano l’aspetto. Avatar che ne colgono l’essenza. Avatar che si confronatno con la disabilià del proprio proprietario.
Da soli o in coppia. Ambigui o dichiarati. Un lavoro sull’identità contemporanea intressante.
Un lavoro sull’identità sì ma soprattutto su un’immagine diversa di sè. In fondo è la logica che sta già nel mascherarsi, nell’idea di pensarsi come personaggi. Il “come se” dell’esperienza performativa che “finalmente” trova dei canali per essere vissuta sempre, tutte le volte che si vuole, e non soltanto in occasioni particolari.
Forse è lì la differenza. Riguarda le forme evolutive della comunicazione e le logiche della rete che scardinano i modi del moderno. O no?
La cosa che più mi interessa di queste immagini (così come di molti avatar osservati in SecondLife, ad esempio) è quando l’evoluzione dell’avatar porta verso la somiglianza. Quando i tratti, gli abiti, i comportamenti doppiano quelli reali.