Il recente studio della Gartner Group che identifica la Generation V (che sta, con pochissima fantasia ed alta imprecisione per “virtual”) tenta di individuare una modalità comportamentale trasversale che taglia le generazioni e profila non per età ma per omologia di comportamento cognitivo e di consumo mediale:
is not defined by age — or gender, social demographic or geography — but is based on demonstrated achievement, accomplishments and an increasing preference for the use of digital media channels to discover information, build knowledge and share insights.
Il termine “generazione” quindi viene utilizzato prescindendo dalle classiche definizioni che ricorrono a coorti generazionali ed identificano un we sense comune a partire dall’esperienza di vita (riassumo così una devastante complessità che cerca di spiegare comunanze nell’attraversare ad una certa età un certo periodo storico, con una preponderanza di una determinata dieta mediale, con forti connotazioni territoriali, ecc.).
Generation w(hat), allora?
Jeremiah Owyang, Sr Analyst alla Forrester Research, critica la scelta di non segmentare su base demografica per alcuni ragionevoli motivi:
demographics are how brands develop personas of who they are trying to reach, bucketing all internet contributors into one classification may be too broad. […]
within Generation V, demographics influences the different tools they use. For example, youth may be more inclined to participate in Club Penguin, while an older professional may be more inclined to participate in Linkedin or Xing
Da una parte quindi una visione mediologica (ma anche mediacentrica) del mutamento socio-antropologico che analizza come attorno ai new media si stiano sviluppando modalità comportamentali transgenerazionali; dall’altra una visione socio centrica per la quale sono le variabili dell’età del genere, ecc. a determinare le modalità di uso dei new media.
Entrambi però sotto l’egida del piano economico che si preoccupa di funzionalizzare le mutazioni per costruire “persone” più adatte a sè e alle proprie logiche.
Estate, cambiare template (e piattaforma) è un attimo 🙂
@Federico: proprio vero. Come imbiancare 🙂
Ma sono ad essere oramai completamente in un altro mondo oppure questa cosa non è nuovissima? Voglio dire, poi è sempre una questione di definizioni e classificazioni a fare la differenza, ma mi suona simile ad altri concetti (anche solo stili di vita o diete mediali, pur se nate non per decrivere i new media) che io sento da parecchio tempo. Non so, mi sembra che, appurata la possibilità di studiare le generazioni non (solo) sulla base della variabile demoografuca, sia ora di entrare nel merito dei contenuti.
Magari mi sbaglio. Però le vostre ricerche sulle generazioni mi sembrano molto più innovative.
Scusa la forma, ho la febbre.
@Valentina – prossima alla meta 🙂 La dimensione classificatoria cerca di affinare, si selezionare, di combinare… ecc. al fine di profilare al meglio questo benedetto consumatore neomediale. Roba già vista, solo che stavolta il focus è sul comportamento neomediale.
Non so se le nostre ricerche sulle generazioni siano più innovative, certo è che cerchiamo di analizzare il concetto a partire da una prospettiva multidimensionale che, speriamo, riesca a mettere in luce un mutamento socio antropologico.