La notte dei morti viventi

L’articolo Il deserto degli Avatar sulla Stampa di ieri ha suscitato molte risposte, anche indignate (vedi qui, qui e qui e anche qui, e con questi ultimi mi trovo molto d’accordo).

Eppure l’articolo contiene dati esatti della condizione attuale di SecondLife:

sono quasi quindici milioni gli iscritti in tutto il mondo, ma solo 460 mila quelli che si sono connessi almeno una volta nell’ultima settimana.

Vero.

E soprattutto aumentano le aziende che chiudono le sedi aperte appena qualche mese fa con grande dispiego di comunicati stampa: in silenzio però, perché ormai Second Life non fa più notizia.

Vero. O meglio: quasi vero. Da un’analisi sui media a stampa che sto conducendo gli articoli su SecondLife sono calati di quasi un 20% rispetto allo stesso periodo del 2007 e soprattutto hanno cambiato il tono. Non è quindi che non faccia notizia ma “fa notizia il fatto che non faccia notizia”. Infatti, come continua l’articolo:

E’ stata prima una curiosità, poi un’opportunità economica e un mezzo per acquistare visibilità. Infine, dopo qualche scandalo amplificato più o meno ad arte, sul mondo inventato nei Linden Labs è sceso il silenzio.

O per meglio dire: aziende e megaBrand hanno usato SecondLife come occasione di notorietà nei media di massa attraverso un utilizzo tradizionale di comunicati stampa eclatanti per progetti spesso vuoti o inesistenti. Il gioco è evidente: associo il mio nome e la notorietà del marchio a un territorio dell’innovazione di cui i media parlano. Per capirci: la sola Repubblica ha pubblicato nel 2007 oltre 250 articoli di diversa lunghezza e rilevanza su SL.

Ora, non credo che il problema sia tanto nel difendere la propria dignità di avatar in SecondLife o di lamentarsi di una scarsa opinione relativa al mutamento culturale in atto (peraltro per nulla messo in discussione nè negato dall’articolo della Stampa, in quanto ininfluente ai fini dell’articolo stesso). Il problema semmai è capire se e come nei blog, nei social network e in SecondLife si può costruire un’opinione pubblica capace di interagire con politica, economia, ecc.

Il resto è espressività del singolo, autocelebrazione ed autocompiacimento.

Se, coem dice Bruno Ruffilli nel suo articolo:

la seconda vita, oggi, è uno sterminato cimitero. Di avatar.

io mi chiederei quali siano le eventuali conseguenze di una corrispondente notte dei morti viventi.

19 pensieri riguardo “La notte dei morti viventi

  1. Costruire un’opinione pubblica capace di interagire con politica, economia, ecc? Personalmente pensare che all’interno dei mondi online si possa costruire qualcosa del genere mi sembra soffrire dello stesso vizio di fondo per il quale si voleva a tutti i costi identificare UNA blogosfera e sapere “cosa dice la blogosfera…”. Peccato che poi la blogosfera in qeustione fossero sempre i soliti e che i blog, quelli vissuti, fosse milioni di più e molto più complessi da raccontare rispetto alle so-called blogstar. Il problema è descrivere questi ambienti come se fossero un mondo a parte. Questi ambienti invece sono produttori di logiche e semantiche proprie che sono già parte del mondo. E per il solo fatto di esistere, da qualche parte, costituiscono una forma di perturbazione. Le forme di perturbazione legate agli oggetti digitali, ad esempio, non nascono perchè un’opinione pubblica ha spinto in questa direzione, ma perchè, esistendo, hanno costituito una forma di perturbazione.
    Uscire dalla logica “isolazionista” delle realtà online potrebbe mostrare una realtà molto più complessa, dove second life non conta per le sue poche migliaia di utenti ma per le dinamiche che è riuscita (o non è riuscita) ad innescare. Ragionamento diversa da “noi che abbiamo un avatar vs loro che non capiscono” (versione Linden Lab di “noi blogger vs loro che non capiscono).

  2. @LR: infatti, sono perfettamente d’accordo. Si tratta di creare non (non vorrei essere frainteso nel post) UNA opinione pubblica “nuova” o “separata” ma riuscire a contare per la capacità di esprimere forme di cittadinanza digitale che sono parte di uno stesso ambiente sociale e non qualcosa “a parte”.
    E’ la prospettiva dei mediamondo, no? 😉

  3. Sono qui giusto per dire grazie, mi pare uno dei pochi blog in cui si sia tentato prima di capire cosa ho scritto (e magari perchè), poi di avviare una discussione sensata. E forse un punto di partenza è prorpio l’osservazione di LR, che è un po’ la versione sociologica e non economica della Long Tail di Chris Anderson. Forse. Ma almeno possiamo ragionare…

  4. @bierre Caro bierre leggendo i commenti di risposta oltre ai posti di critica devo dire che mi aspettavo decisamente di peggio. Le risposte emozionali possono essere molto violente mentre mi è sembrato che in diversi casi si sia provato ad aprire un confronto (e credo che il tuo essere presente alla conversazione abbia aiutato non poco in questo senso). Andando oltre, io credo che i mondi online siano qui per restare. Le forme socialmente possibili di questa sopravvivenza le vedremo nel prossimo futuro ma probabilmente non si tornerà indietro a prescindere dalla sopravvivenza di SL e della Linden Lab. Anche nell’ambiente dei videogiochi di massa online, che hanno numeri decisamente maggiori di SL,si avverte da più parti l’arrivo di una stagione “fredda” un inverno da cui il numero dei mondi disponibili uscirà decisamente ridimensionato. Tutto questo non vuol dire che non siano ANCHE questi glii spazi dove si creano perturbazioni per la società futura.

  5. @Bruno Ruffilli: credo la dimensione delle conversazioni sia centrale, tanto più per chi abita anche l’ambiente digitale.
    Per venire al tuo articolo: ovviamente parte dell’indignazione della sfera protezionistica di SL dipende, come al solito quando si tratta della stampa, del frame che è stato costruito. La desertificazione di SL, la mosrte di quel mondo, richiamata da te nelle ultime righe, diventando il titolo ha costruito il quadro di riferimento della lettura che forse – e dico forse – ha lasciato in secondo piano contenuti con i quali ci dobbiamo confrontare.

    C’è anche da dire che un certo modo di fare giornalismo in relazione ai new media unito all’autoreferenzialità della “coso”sfera (blogosfera? Secondlifesfera? ecc.) fa sì che si rischi il pregiudizio di fondo.

    Credo valga la pena parlarne. Se vuoi anche dentro SecondLife 😉

  6. @LR. Io avevo scritto: “Second Life non morirà, e anzi i micro-mondi virtuali si stanno moltiplicando (quello di Sony è online da qualche mese).”

    @gboccia. Io sono sempre disponibile, il mio indirizzo mail al giornale è pubblico, ma ho avuto una sola mail a proposito del mio articolo. Non capisco questa voglia di parlare sempre tra sè, quando sarebbe stato semplicissimo chiamarmi in causa. Autoreferenziale la stampa, tu dici? E i blog, allora? Sono dovuto intervenire io, col mio vero nome, a cercare di difendermi da gente che spara cazzate senza nemmeno aver letto quello che ho scritto. Per ovvi motivi non posso scrivere su tutti i blog, quindi se volete RIapriamo uno spazio per SL sul sito della Stampa, visto che quello che avevo tenuto per oltre un anno è stato chiuso. Era il primo esempio italiano di un quotidiano che scrivesse con cadenza bisettimanale di SL.

  7. @giovanni le cose che scrivi sono sempre molto equilibrate e corrette. Credo che l’articolo di Bruno Ruffilli abbia un grande merito: avere riaperto una discussione su alcuni temi. Ognuno lo ha fatto a modo suo con modalità che per quanto mi riguarda, se non diventano offensive e non diventano attacchi personali, sono tutte legittime. Tutto questo ci ha mostrato anche un lato “debole” del nostro costruire contenuti che è anche una sua forza: una inaspettata competitività.

    @Bruno Ruffilli: se posso condividere tante cose non riesco ad accettare una frase del tipo: ” Sono dovuto intervenire io, col mio vero nome, a cercare di difendermi da gente che spara cazzate senza nemmeno aver letto quello che ho scritto”.
    Qui ci sono persone non professioniste, spontanee, tu sei un giornalista professionista. Tutto viene fatto per passione e a volte questo si porta dentro “entusiasmi” che possono manifestarsi in una modalità eccessiva. Normalmente queste manifestazioni vengono “raffreddate” per non dire isolate. Non è carino dire che si sparano cazzate. Non trovi?

    Fabio Fornasari

  8. @Fabio non amo particolarmente i giornalisti, non ne subisco il fascino e sono tendenzialmente convinto che una forma rinnovata di giornalismo diffuso soppianterà la categoria, almeno in parte.
    Detto questo.
    L’accusa di “sparare cazzate senza aver nemmeno [add something here] …” l’ho letta un numero infinito di volte (ed alcune volte l’ho anche condivisa). Di solito era un blogger/gamer/avatar che si riferiva ad un giornalista. Francamente non mi sembra di aver visto tutto queste forme di “raffreddamento” di cui parli.. ma forse mi sono sfuggite. In ogni caso non mi pare che i blogger (e mettici dentro tutto per favore) possano sentirsi puri rispetto a questo peccato. Eppure non è così difficile, l’uomo ragno lo insegna da tempo: a grande potere (quello di scrivere e PUBBLIcare) corrisponde una grande responsabilità (fosse anche solo quella di pensarci due volte prima di dare del cazzaro ad uno.. sia esso giornalista o meno).

  9. Come ho cercato di spiegare qui e qui la vicenda relativa all’articolo di Bruno Ruffilli è stata un po’ la cartina tornasole del grado di “maturità” degli “abitanti digitali” di SL, della loro capacità di rapportarsi in modo costruttivo con l'”esterno”, con l’opinione pubblica.
    Si è trattato, a mio parere, non semplicemente di una occasione persa ma, anche, e soprattutto, di un auto-danneggiamento collettivo, purtroppo guidato da alcune persone che hanno interessi economici più o meno attuali e più o meno importanti in SL. Aizzare demagogicamente la folla isterica degli avatar, raccogliere 62 commenti (la maggior parte isterici) ad un post, organizzare ridicole (ed è un eufemismo) manifestazioni di protesta virtuale, celebrarne i risultati epicamente ha riportato, purtroppo, indietro tutti noi nella considerazione che il mondo “non second life” ha di questo mondo sintetico e dei suoi abitanti.
    Come ho scritto la “avatar dignitate” non è mai (e mai potrebbe esserlo) svincolata dalla “hominis dignitate”.
    Adesso dobbiamo rimboccarci le maniche e “ricostruire”.
    Speriamo che questa vicenda serva da lezione. Anche se, a dire il vero, non scoppio di ottimismo.
    Neupaul Palen aka Paolo Palmacci

  10. @Fabio. Per me uno che commenta (e soprattutto denigra) un articolo che non ha letto su una pagina di giornale che non ha visto è facile che spari cazzate, magari – com’è successo – attribuendomi cose che non ho mai detto nè pensato. E non c’entra assolutamente niente che sia un blogger, un collega, un lettore qualsiasi.

  11. @LR. Vedi commento precedente. Tra l’altro anche tu qui dimostri che l’interpretazione è sempre soggettiva. Ho dato del cazzaro a chi commenta senza leggere e senza voler capire. Punto. E non l’ho fatto sul mio giornale, ma qui, dove il mio “potere” (beato te che ci credi ancora) è uguale a quello di tutti gli altri.

  12. @Neupaul- Paolo. Condivido ogni singola parola. Mi occuperò ancora di SL, so bene che c’è ancora molto da dire e che dopo la “pars destruens” c’è una “pars costruens” della quale volutamente non ho parlato. Ma onestamente sono stanco di avere a che fare con integralisti e sostenitori ad oltranza di preconcetti, con chi ha interessi da difendere o ragioni di vita di cui non può fare a meno. Così la tentazione di lasciar davvero cadere il silenzio è molto forte. E però, per il dialogo c’è sempre spazio, il mio indirizzo mail è a disposizione. In una settimana sai quanti mi hanno scritto a proposto dell’articolo? Uno solo!

  13. @Bruno e per gli altri: sul fatto che tenere viva la conversazione anche con divergenze, ecc. credo che concordiamo tutti.

    Sul fatto di barattare la tua mail, Bruno, con lo spazio pubblico, ad esempio il pezzo sulla Stampa online invece ho riserve. Mi spiego: tu dici “per il dialogo c’è sempre spazio, il mio indirizzo mail è a disposizione. In una settimana sai quanti mi hanno scritto a proposto dell’articolo? Uno solo!”
    Ecco il punto è: avrebbero dovuto essere aperti i commenti al tuo articolo sulla stampa.

    Io, ad esempio, rispondo pubblicamente con il mio post a quanto tu hai pubblicamente scritto. Non la trovo una cosa da commentare fra me e te ma in pubblico.

    Dire in pubblico significa dire che Bruno Ruffilli scrive un articolo, ma il proprio editore lo approva, gli trova collocazione, lo titola in un certo modo, ecc.

    Quindi in pubblico mi aspetto di rispondere, aprendo cioè alle conversazioni e non solo ad un dialogo a due. Un po’ come sta avvenendo qui nel mio blog.

  14. Mi associo a quanti si sono indignati per l’articolo di Ruffilli, che ho trovato superficiale, affrettato e decisamente poco lungimirante. Come, del resto, la gran parte degli articoli su SL da un anno a questa parte. Nulla di strano, Second Life sta attraversando la curva discendente del ciclo di Hipe, che sta dando origine ad una “recrudescenza di articoli apocalittici tipici del giornalismo giurassico” (definizione perfetta, non ricordo dove l’ho letta). Una miopia da cui non è affetta solo la nostra stampa (vecchia, vecchia, vecchia…) ma anche il mondo imprenditoriale, che ha voluto vedere nei mondi virtuali e negli avatar solo altri bersagli da colpire con i loro inutili messaggi monodirezionali, secondo un approccio di tipo broadcast superato *da anni* perfino dai media tradizionali.

    Second Life non è il luogo dei grandi numeri, fosse anche solo per i limiti tecnici della piattaforma. Second Life non è un media, è un social network, un luogo dalle potenzialità espressive e comunicazionali altissime dove stabilire contatti e relazioni di qualità.

    Indipendentemente dalla longevità della Linden Lab, credo a chi dice che i mondi virtuali saranno la killer application del prossimo decennio (uno fra tutti, Edward Castronova, “Exodus to the virtual worlds”). Le critiche severe, a tratti feroci, di chi sicuramente questi mondi li spia dal buco della serratura, suonano molto familiari. Sono le stesse che venivano mosse ad Internet all’inizio: pochi utenti, barriere all’accesso, difficoltà di utilizzo, scarsa qualità dei contenuti. Lo trovo indicativo di quanto debba ancora crescere la cultura della comunicazione in Italia.

  15. @Marika: lucida analisi.

    Le responsabilità sono anche di chi lavora nella comunicazione. Per primi i consulenti delle imprese che hanno venduto l’hipe di SL in sé e per sé senza tentare di capire né i linguaggi del mondo né le forme adatte. Poi gli entusiasti del “nuovo” pronti a saltare di carro in carro. I detrattori del nuovo, chiusi ad ogni sperimentazione. Molto giornalismo attento solo all’esaltazione di parole chiave alla moda… ecc.

    Sgombero il campo dagli early non-adopters rimarrà spazio per sperimentare e provare come la comunicazione diventi un ambiente emotivo in cui fare esperienze autentiche.

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