L’altro lato del non convezionale

Una delle forme della mutazione in atto, com’è noto, riguarda la percezione sempre più pubblica che il mercato va assumendo una natura conversazionale. E questa consapevolezza comincia ad essere evidente sia sul lato dei consumatori che su quello interno alle aziende.

O così almeno pare. E proprio per riflettere sul cambiamento culturale in atto Gianluca Diegoli si è prestato a discutere le sue “discutibili” tesi per un marketing diverso. Un ebook da scaricare che oltre il contenuto credo sia interessante per la modalità di diffusione virale (solo di download circa 5000 senza contare gli amici che lo inviano via mail agli amici) e quindi per la possibilità di alimentare il dibattito.

E’ infatti adesso, oggi, nel momento in cui alcune delle “parole” e delle “logiche” del web sociale, delle conversazioni, ecc. si diffondono e si rendono (quasi) quotidiane nelle imprese che il rischio è più alto. Fantomatici consulenti che vogliono corporateblogizzare tutto, CEO che pretendono la propria presenza su Facebook: ma in prima pagina, e così via.

E’ oggi che dobbiamo chiederci cosa c’è “dall’altra parte”, cioè qual è il “senso” delle forme che si stanno producendo e diffondendo. Qual è l’altro lato del non convenzionale che oggi così tanto si pratica? Del viral marketing? Dell’aprire un blog che attiva una conversazione con i tuoi consumatori? Che conseguenze ha “dentro” l’azienda, oltre che fuori e intorno.

C’è sicuramente una consapevolezza dell’azienda di stare dentro a nuovi territori in cui  abitano i consumatori, ma lo fanno usando linguaggi che gli sono propri e che sono inquadrati nel marketing. Così, ad esempio e per banalizzare, si rischia di fare una “campagna” video virale il cui obiettivo è costruire un report che racconti il numero di view o download del video,  che collezioni la rassegna stampa che ne ha parlato, ecc. E dopo? Dopo che hai aperto un canale di comunicazione che fai?

Come dice Gianluca, si tratta di ripensare a metodi di misurazione dell’efficacia o forse di pensare proprio ciò che è efficace in modo diverso. Le hit le conti. E la qualità delle relazioni?

Si tratta di avere un modo di osservare le cose dopo che abbiamo capito la necessità di lavorare sulle nuove estetiche, sui nuovi linguaggi, dopo che abbiamo provato a sensibilizzare le aziende sulle dinamiche social, dopo avere capito la necessità di un mutamento culturale.

Tutto questo però significa non solo proporgli il “nuovo” ma instillargli il dubbio che sotto il nuovo ci sia qualcosa d’altro. E che questo qualcosa produca “senso”.

In chiusura, allora, cito solo alcune tesi che mi interessano perché attraversano anche la formazione di professionalità che nell’Università facciamo e perché credo che Gianluca rappresenti da questo punto di vista una necessaria posizione critica, post fase entusiasmo-senza-riflessione. Le lascio qui per ricordarcene e discuterne:

53
Il non convenzionale è solo un farmaco anti-dolorifico
locale nella malattia del marketing: perché faccia effetto
ne devi aumentare le dosi ogni volta, ma a ogni applicazione
diminuisce la ricettività delle persone.

54
La pubblicità contestuale ai contenuti o basata sul
comportamento precedente degli utenti ha un limite
intrinseco di rilevanza: che sia il contesto che il
comportamento sono “parametrizzati” dalle aziende e non
dagli utenti – che conoscono sé stessi meglio di chiunque
altro, ovviamente.

55
Far creare pubblicità alle persone è come chiedere loro
di suicidarsi: e infatti, di solito, è solo pubblicità di
creativi outsider, generata da un tipo diverso di gara.

3 pensieri riguardo “L’altro lato del non convezionale

  1. Grazie per la segnalazione. Sto cercando di far adottare ad un’azienda “tradizionale” filosofie e strumenti – nell’ordine…- del web sociale e collaborativo. Che sia anch’io un fantomatico consulente? Come riuscirò a far comprendere le potenzialità della conversazione digitale (e non solo)? Conversando?

  2. @Federico: il mio mica è un attacco generalizzato ai consulenti 🙂 solo una sottolineatura del fatto che ci troviamo in un momento sensibile, quello del passaggio al mainstream, quindi occorre tenere alta la “barra” critica e l’attenzione, proprio per rendere il passaggi comprensibile e fluido.

    Per far comprendere: la mia sensazione è che due siano i compiti di chi ci si dedica: 1. fare formazione: spiegare, introdurre al linguaggio, portare case histories; 2. far provare: pensare modalità che connettano concretamente il lavoro quotidiano con le potenzialità “social” via web.

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