Non amo le riflessioni a caldo, di getto, umorali, sul pensiero scritto. La realtà che spesso va affermandosi del fast think che tritura idee ed informazioni in forma di neo Haiku da distribuire tra twitter e friendfeed ha per me il sapore dell’estemporaneità e la sola funzione di una memorizzazione per un successivo soffermarsi, un pretesto lanciato lì per creare un momento di riflessione a venire, attraverso un approfondimento che possa essere utile ed utilizzabile.
Così “leggere” un libro richiede per me un coinvolgimento temporale che unisce immediatezza a distanza. Il che mi allontana dalla tentazione del commento “a caldo” e mi porta ad un pensiero “depositato”.
Tutto questo per dire che solo oggi posso parlare del nuovo libro di Giuseppe Granieri “Umanità accresciuta”, miscelando l’esperienza di lettura e la distanza “riflessiva”. L’operazione è ancora più complessa, poi, perché Giuseppe è un amico e un intellettuale con cui ho condiviso e condivido un percorso di ricerca e divulgazione sulle “culture connesse”. E questo va tenuto a mente come premessa: non è il fine di quanto scrivo.
Partiamo allora con due letture meta testuali per tentare di inquadrare l’approccio di fondo, analizzando le intenzioni implicite ed esplicite del testo.
1. E’ un libro ambizioso questa “Umanità accresciuta” di Giuseppe Granieri perché rappresenta un lucido spaccato della necessità e dei limiti di una crescita della cultura sul digitale in Italia.
Da una parte esiste una componente élitaria che con approccio scientifico analizza il fenomeno Internet, i siti di social network e i mondi online producendo manuali, saggi e ricerche che impattano sulle realtà disciplinari specifiche e nell’ambito della formazione specializzata, soprattutto universitaria; dall’altro esiste una élite costituita dagli intellettuali da Rete (non è una diminutio, sia inteso) che tra blog, siti, articoli in riviste più o meno specializzate, giornalismo informatico, ecc. esprimono la loro opinione, informano, dibattono facendo leva sull’esperienza dell’abitare la Rete e dell’essere innovatori di vocazione e disegnando i profili presenti che facciano da bussola per capire gli umori e i cambiamenti. Poi c’è la divulgazione mainstream, quella dei media di massa, più attenta a cogliere tendenze traducibili in fatti di costume o a proporre critiche di facile appeal per un pubblico largo che a raccontare il mutamento in atto.
In questo contesto si inserisce questo libro che lavorando sullo stile di scrittura si propone come operazione di divulgazione scientifica dei temi del digitale, orientandosi cioè ad una accessibilità di linguaggio e ad una modalità dell’argomentare che sappia parlare a quella larga fetta della popolazione che si trova e si troverà ad essere “umanità accresciuta”.
Come dice Granieri:
Il cambiamento oggi non è più una questione di proiezioni future, ma una condizione in cui una buona parte della nostra società sta già effettivamente vivendo. Ci sono sempre nuove frontiere […] ma la colonizzazione degli spazi sociali del digitale è già ad uno stadio molto avanzato […] L’Italia è in ritardo, nell’elaborazione culturale del cambiamento più che nella dotazione di infrastrutture per la connettività e nella diffusione dei dispositivi” (p. 15, p. 144).
Questo, credo, sia uno dei motivi del suo scrivere e di una scrittura “così” di questo libro. Il che porta con sé delle conseguenze : si rischia di non alimentare il dibattito con le élite (attente da una parte ai linguaggi disciplinari e dall’altra ai dibattiti “interni” al Mondo) per parlare alla (e con la) cyberborghesia e con coloro che stanno ascendendo. In apparenza. Perché il dibattito dovrebbe proprio essere sui modi di ripensare al rapporto tra “élite” (e lo dico con moderata ironia) intellettuali “da” Rete e umanità in accrescimento.
2. Il concetto di “accrescimento” dell’umanità è trattato in modo anti ideologico usando una serie di distinguo, propri del pensiero ecologico di matrice post-panglossiana.
Se si va oltre il titolo (e si arriva almeno a pag.46) si evita di cadere nello stereotipo del libro di filone “ottimismo neoteck” – questo “accresciuta” vorrà dire che “l’umanità è migliore e più felice di prima”?
Basta leggere:
Accresciuta perché […] cresce un sistema di possibilità e di aspettative . Perché aumenta il range di possibilità per ciascuno di noi, non la certezza del risultato.
E così pure l’autore si districa da sospetti di determinismo prendendone le distanze attraverso una descrizione della tecnologia come artefatto abilitante che lascia dischiuse dentro di sé possibilità diverse che le pratiche vive e i comportamenti sociali produrranno.
Questo va detto perché credo che il rischio di pre-giudizio da parte delle élite sia alto. Anche perché stiamo entrando, fortunatamente, anche in Italia nella fase di necessità di una visione “critica” della Rete. Ed è proprio in questa direzione che, nello stile che ho richiamato prima, va questo volume. E lo fa mettendo a tema le parole che usiamo oggi per descrivere il mutamento che sta avvenendo e mostrando come contengano spesso una carica di ambiguità che porta a pensare in modo pregiudiziale il nostro rapporto con le tecnologie e spesso attraverso forme stereotipiche.
Attraverso le parole costruiamo mondi che abitiamo. Usare parole diverse potrebbe portarci ad abitare mondi diversi o lo stesso mondo in modi diversi.
3. Non posso sottrarmi però da una notazione critica sulla tematizzazione di alcune parti, perché chi, come me, si trova quotidianamente a confrontarsi con l’evolversi della comunicazione scientifica su questi temi, sente il peso della letteratura in materia che ci ha introdotto nel secolo scorso – anche in Italia – dentro un dibattito speculativo che oggi viene superato dal concretizzarsi di una realtà che abbiamo sotto gli occhi.
In questo senso l’appunto va fatto – se vogliamo parlare di appunto e non di contrappunto – all’incedere su alcuni problemi già molto tematizzati (penso al dibattito reale/virtuale o quello sul post-umanesimo o sulla dimensione del cyborg) come se fossero nuovi (ma forse per molti lettori, quelli cui il libro è vocato, lo sono!) mentre li si poteva storicizzare nella loro portata anticipatoria anni ’90 oggi forse superata dalla nuova condizione di umanità connessa; condizione per la quale molto pensiero ideologico va ripensato a partire dalle pratiche effettive.
Resta il fatto che lo “stato di necessità” che questo lavoro coglie rappresenta un vero e proprio starting point per aprire la riflessione contemporanea ad una serie di tematiche centrali capaci di presentare sia linee evolutive del pensiero scientifico necessarie (come ad esempio l’attenzione per la dimensione biocognitiva dell’esperienza immersiva ) sia gli ambiti di ricerca da osservare per cogliere la mutazione in atto.
lo leggerò! 🙂
Grazie, per le belle parole. Per il resto, lo sai, è un difetto mio: i lunghi paragrafi storiografici sono la prima cosa che salto in un libro, soprattutto da lettore. 😀