Enclosure digitali

enclosure

Lo sviluppo in chiave social del web in Italia ha trovato un primo momento di sviluppo nell’élite clanica, costituita da blogger il cui meccanismo di relazione era fondato su processi di protezionismo ed auto-esaltazione. Questa élite ha rappresentato il discorso pubblico in Rete e ha funzionato da driver dell’innovazione, adottando per primi i social network e presidiando i linguaggi dei territori online.

Parallelamente a questa visione dalla superficie c’è n’è una nel profondo, costituita dagli adolescenti digitali, proprietari di blog spesso chiusi alla cerchia di amici, forme considerate residuali, più orientate all’auto rappresentazione non solo singola ma di gruppo: quella del mondo vicino. Fuori dal discorso pubblico, orientati alle relazioni e all’intrattenimento, trattando l’informazione in modo proprio e “diverso”, queste conversazioni in Rete costituiscono i linguaggi dal sottosuolo che – forse – stanno riorientando la  forma social del web.

Poi c’è la cyberborghesia, la classe media digitale che entra nei territori digitali principalmente attraverso i siti di social network – come si sa Facebook innanzitutto – e che porta in Rete modi di essere e pratiche di connessione proprie, partecipando a ridefinire i significati delle piattaforme e dell’ecosistema digitale.

E ovviamente c’è il mercato. Che ha socializzato ai linguaggi, ce li ha resi familiari, coinvolgendoci con le forme online di connessione dei consumatori attorno a marchi, prodotti, iniziative.

Oggi l’élite clanica sembra uscire dai siti di social network che usava spesso riferendosi al proprio clan per poi scoprirsi in pubblico. Ci sono diverse tracce. I profili vengono chiusi, “lucchettati”. Si scopre (spesso con disappunto) di essere sotto il riflettore quando aumentano richieste e contatti di sconosciuti, quando spuntano commenti in pubblico talvolta” fuori luogo” sui propri thread in FriendFeed o Facebook. Parallelamente vedono svuotarsi di commenti i propri post a favore di una dispersione di conversazioni nei siti di social network.

Il clan risponde chiudendosi. Enclosure digitale. Riparandosi da sguardi indiscreti, costruendo la loro città di quarzo online. Il rischio è di guardarsi da soli, sottraendosi allo sguardo delle masse digitali per rifugiarsi nell’autoriferimento, perdendo di vista quel sommerso che emerge e che traccia linee di futuro a venire.

13 pensieri riguardo “Enclosure digitali

  1. c’è così tanta altra vita fuori dai clan 🙂 che non mi preoccuperei più di tanto della loro chiusura. Si guarderanno da soli, come dici. E’ il non saper gestire la nuova situazione. Non la notorietà quella fa piacere come ha sempre fatto piacere. Ma la moltitudine. La moltitudine che porta diversità, che non pende dalle tue labbra, che è capace di controargomentare o di “sgamare” i tuoi punti deboli da quello che condividi. E questo fa paura. my 2 little cents (da approfondire)

  2. @cate il tuo commento è lucido e graffiante e mi offre l’occasione per dire che il mio non vuole essere un motto moraleggiante né di attacco offensivo. Piuttosto è un’osservazione accorata sulla necessità di non perdere l’occasione di affrontare la nuova mutazione che la Rete sta portando con l’ingresso delle masse. Se no si farebbe lo stesso errore che gli intellettuali hanno fatto nei confronti dell’emergere della cultura di massa.

  3. La tua analisi è interessante ma inficiata da un errore storico: Internet in chiave sociale in Italia è iniziata ben prima dei blog, con forum, mailing list e chat. Lo sottolineo non per precisinismo ma perché molti blogger della primissima ora si frequentavano già in rete: in molti casi quella che sembrava chiusura all’esterno era una semplice amicizia preesistente. Senza considerare questo elemento è difficile valutare gli sviluppi successivi.

    1. mafe, è evidente che il collante dell’élite clanica sia nata nelle forme “intime” e diverse di chi, tra voi, per primo ha sperimentato le forme comunitarie dell’IRC, forum, mailing list ecc. Si tratta di quella fase “social” che in letteratura precede il cosiddetto web 2.0 e che anche in altri paesi è alla base dei rapporti specifici che hanno caratterizzato la prima realtà delle blogosfere. Ma la blogosfera italiana (parliamo di quella adesso) non è fatta, in origine, solo di quelle persone che hanno fra loro quei rapporti ma di una serie di “innovatori” che sperimentano, comunicano, hanno interessi diversi, tematizzano il fatto di avere un blog, ecc.
      E al di là di conoscenze primigenie e rapporti costruiti attraverso contatti precedenti in liste di discussione ecc. costruiscono relazioni di inclusione evangelizzando e “scegliendo” chi includere nel “clan” (commentando ed aggiungendo nel proprio blogroll, rinforzandosi a vicenda, ecc.) ed “esclusivi”, attraverso sistemi di citazione reciproca, ecc.

      Attenzione: il mio non vuole essere un atteggiamento moraleggiante, nè ritengo che la natura clanica sia un “male” di qualche tipo. Semplicemente si tratta di una prima forma costitutiva di questa società in Rete che, piano piano, stiamo costruendo.

      1. Nè bene nè male, semplicemente un’informazione da tenere presente. Non ho mai riscontrato nessuna chiusura clanica nella blogosfera italiana: tipicamente lamentarsene è un modo per ottenere attenzione (e, successivamente, inclusione: potrei farti decine di esempi).
        Io trovo sano che il primo nucleo della blogosfera sia costituito da persone che si sono fatte le ossa in ambienti digitali anarchici (quali erano newsgroup. BBS e chat), perché hanno portato un savoir faire derivante dalla netiquette di cui si sente molto il bisogno. Gli stessi innovatori di cui parli – ma forse abbiamo in mente blogosfere diverse – vengono da esperienze precedenti che hanno permesso loro di innovare e ragionare a partire da una base di esperienze personali.
        Non riesco invece a prendere in considerazione – ma forse è un limite mio – un teorizzatore che pensi che la socialità in rete nasca con i blog 🙂

      2. @Mafe, io distinguerei la questione clanica dalla dimensione social del web.
        Sul secondo punto: è evidente che (basta leggersi un Castells qualunque) la natura sociale si è costruita parallelamente e da subito con la Rete – i ricercatori che usavano la forma proto-mail o le prime chat per scambiarsi info sullo sport, sulla vita universitaria e non solo per condividere documenti di progetto. Ovvio poi che tutta l’esperienza BBS e oltre (basta leggersi un Rheingold qualunque -facciamo virtual community del 2003) ha mostrato le sfaccettature della dimensione social del web. Quindi è evidente che la socialità in rete non nasce con i blog.

        Se invece pensiamo alla svolta (di marketing e di cultura) del Web 2.0, che è poi la lettura in chiave social di tutto il web allora abbiamo necessità di lavorare anche sulla discontinuità. La forma blog (non i blogger) è quella che ha racchiuso meglio l’innovazione, ha funzionato da metafora della trasformazione. La tematizzazione in pubblico ad alta accessibilità e scalabilità dei pubblici di prospettive di condivisione di gusti ed interessi c’è con i Blog. Per questo parto da lì nel post.

        Sulla natura clanica mi sembra che gigi legga il fenomeno da una prospettiva diversa dalla tua

        “Il blogger italico (o per lo meno quella sporca trentina che dal 2003 si è costituita in clan) ha fondato la sua esistenza su due fattori portanti e importanti: il narcisismo del consenso e le relazioni esclusive.”

        e non mi sembra certo che sia uno che prova a “lamentarsene” perché “è un modo per ottenere attenzione” 🙂

  4. Concordo.
    I nuclei “amicali” originali delle “nuove” civiltà, se davvero vogliono perfezionare e diffonderle per far sì che i villaggi diventino metropoli e i clan popoli, secondo me dovrebbero sempre più evolversi e aprirsi; e questo in qualunque ambiente sociale. Involversi e chiudersi esclusivamente fra loro, senza guardarsi attorno e dialogare coi nuovi arrivati per aumentare la varietà di idee, argomenti e caratteri non è mai, sempre a mio parere, cosa buona.
    Si rischia d’assomigliare ai raffinati controversisti di Bisanzio che, ben chiusi nelle mura della cittadella e tutti affaccendati in brillanti ma privatissime opinioni scambiate esclusivamente fra loro, non s’accorsero dei vivacissimi foresti che quelle mura sbattevan giù, impipandosene allegramente della quantità degli angeli da sistemare sulle punte degli spilli. 😉

  5. è come al bar.

    quando esci in un bar conosci tutti quelli che escono in quel bar e gli altri bar sono solo insegne luminose.

    nel tuo bar c’è gino che arriva alle 13 sia d’estate sia in inverno e puoi scommetterci che prima beve il caffè, legge la gazzetta e poi ordina un sangiovese fuori frigo.

    c’è enrico che non sa giocare a boccette ma se ne fotte e sfida lo stesso i campioni del bar. perde ma è contento perchè è stato considerato come quando i nipoti lo vanno a trovare.

    paolo ha lasciato la moglie e il figlio per un videopoker che non paga un cazzo. quando consuma paga la volta successiva e il proprietario s’incazza dentro perchè le consumazioni vanno pagate subito se no poi fan tutti così e noi andiamo a ramengo.

    dentro al tuo bar tutti conoscono tutti e tutti discutono con tutti e cassano deve andare in nazionale ma no che lippi fa quello che cazzo gli pare e alla fine l’inter non passa in champions però l’importante è stare avanti alla juventus che è la squadra dei buoni anche se amauri segna poco (però gioca bene).

    e quando entra uno che non è mai entrato lì tutti stanno zitti e si guardano come per dire che quello si vede che è uno che frequenta le insegne luminose.

  6. Che tutto questo c’entri con qualcosa del tipo “autoreferenza” e “chiusura operativa”? Solo che forse appunto quello che può emergere spontaneamente ha tutte le carte in regola per alimentare la comunicazione e forse varrebbe la pena “portarlo dentro” (come tema). E’ così?

  7. Non riesco a spiegarmi: è chiaro che, in teoria, la dimensione clanica e quella sociale sono distinte. Nella pratica della rete italiana (ma forse non solo) si è secondo me confuso clan con anzianità. Non ho mai riscontrato nessuna chiusura, tanto è vero che continuano a entrare e a diventare protagoniste voci nuove che si conquistano il rispetto con i contenuti (a volte, come nel caso di Gigi, entrando un po’ a gamba tesa, ma fa parte del gioco).

    Per il marketing, non saprei, ho un’ottica distorta. Ci sono dentro dal 1998, c’ero ai tempi di Net Gain che diceva le stesse cose che può dire adesso uno del 2.0, (mi) sento dire le stesse cose da dodici anni: i blog hanno sicuramente reso tutto più semplice, ma più che di svolta io parlerei di facilitazione. E’ probabile però che da dentro la cesura si percepisca meno, sicuramente c’è stato un grosso salto avanti tecnologico, non sociale.

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