Qualcuno sostiene ci sia una tendenza in atto che caratterizza l’informazione al tempo della Rete: quella della snack culture.
Ci si nutre in modo rapsodico e compulsivo, tra uno spazio di vita e l’altro, di spezzoni di informazioni da consumare in superficie e velocemente. Questa bulimia del frammento è fatta di feed RSS, di articoli brevi con molti-link-che-poi-mi-saranno-utili, di molte letture sparse di post contro poche di quotidiani, di tranci tv sbattuti su YouTube che deresponsabilizzano dalla necessità di guardarsi un intero programma di approfondimento (o di intrattenimento).
Qualcun altro sottolinea come questa sia, di fatto, un’illusione e che in realtà ci troviamo di fronte ad un ambiente mediale mutato che ha fatto crescere la sua offerta culturale, rispondendo in modo differenziato ai bisogni e saturando la dieta mediale con offerte che si legano in modo nuovo e diverso ai nostri spazi/tempi. E poi, aggiunge qualcun altro ancora, c’è il piacere delle “schifezze” che condensano esperienze e gusti differenti in moltissimi modi, per cui se per qualcuno si tratta solo di junk food per qualcun altro diventa l’unico modo di sfamarsi, o di farlo nei tempi che la vita ti concede, tra uno spostamento e l’altro, ecc.
Sia come sia, c’è necessità crescente di coniugare le esigenze di “fame” informativa – con appetiti diversi e diverse esigenze spazio/temporali di consumo- e la capacità di muoversi tra i percorsi dei produttori informativi “dispersi” – professionisti e non – in un’epoca di convergenza culturale e di socializzazione di massa alla Rete.
Così parte Filtr, nella sua provvisorietà da versione alpha, che pensa (anche) ad un rapporto di socializzazione informativa alla rete della classe media digitale. Come scrive Granieri:
Probabilmente, se sei uno che sguazza su Friendfeed, usa un client per Twitter e va dal barbiere con l’iPhone, Filtr non è per te, o lo è solo in parte (poiché hai già probabilmente la tua rete di riferimenti). Il tipo di lettore cui pensiamo, giocando con questo numero zero, è quello che che non ha il tempo (o la legittima voglia) di costruirsi i suoi strumenti di analisi e ricerca di informazioni. E a cui può far piacere un po’ di vita semplificata.
Ovviamente c’è una complicata dose di ambiguità che sta dietro ad un tentativo come questo: cos’è, giornalismo dal basso? cos’è, un aggregatore? cos’è, un modo per mettere in relazione agenda dei media e agenda della Rete? o di mettere in agenda cose che sono uscite o sono proprio fuori dall’agenda mediale? cos’è, un racconto dell’informazione in chiave locale? cos’è, un riassuntino dei fatti del giorno ma neanche tutti? cos’è, un modo di pettinare i flussi? cos’è, una selezione fatta dalla gente per la gente?
Per me è semplicemente una realtà adatta alla convergenza culturale, che mette in connessione (dal basso) la realtà informativa del sistema (mainstream) dei media e i flussi online, miscelandoli in un condensato in cui gli sguardi, esterni ed interni alla Rete, si relazionano. Una realtà in cui consumo informativo di superficie e di profondità si intrecciano; con la collaborazione del lettore che può segnalare articoli “irritativi” a chi viene dopo di lui.
Una realtà in evoluzione, dunque, un progetto collettivo che forse non può essere definito in positivo ma solo attraverso ciò che non è: Filtr non è snack culture. Non lo è se pensiamo a questa cultura come puro consumo di info streaming – per capirci la lettura con sguardo distratto delle breaking news. Ma è una forma adatta alla realtà dell’informazione all’epoca della snack culture, se pensiamo ad una dieta informativa che miscela personalizzazione ad approfondimento, superficie e profondità.