Domani, 16 aprile, è il Record store day, giornata che celebra i negozi di dischi, non le catene o gli spazi nei centri commerciali, proprio i negozi di dischi … Ma voi ve lo ricordate il vostro negozio di dischi preferito?
Il mio valeva un viaggio in corriera di un’ora, sempre in compagnia, e una camminata in centro. Un paio d’ore spese dentro e il ritorno. Si chiamava Nannucci e stava a Bologna. Oggi non c’è più. Non ricordo esattamente, invece, quale sia stato il mio primo acquisto. So solo che non era in questa classifica:
Classifica del 17 giugno 1978 (da MUSICA E DISCHI)
1. Tu – Umberto Tozzi (CGD)
2. Sotto il segno dei pesci – A.Venditti (Philips)
3. Stayin’ alive – Bee Gees (RSO)
4. Cime tempestose – Kate Bush (EMI)
5. Heidi – Elisabetta Viviani (RCA)
6. UFO robot – Actarus (Fonit Cetra)
7. Generale – Francesco De Gregori (RCA)
8. Night fever – Bee Gees (RSO)
9. Tarzan lo fa – Nino Manfredi (Fonit Cetra)
10. One for you one for me – F.lli La Bionda (Baby)
11. Rivers of Babylon – Boney M. (Durium)
12. Pensiero stupendo – Patty Pravo (RCA)
13. Tanti auguri – Raffaella Carra` (CBS)
14. Figli delle stelle – Alan Sorrenti (EMI)
15. Follow me – Amanda Lear (Polydor)
16. Lola – Chrisma (Polydor)
17. Let’s all chant – Michael Zager Band (EMI)
18. Liu` – Alunni del Sole (Ricordi)
19. Guapa – Bus Connection (Bus)
20. Love is like oxygen – Sweet (Polydor)
Molte di queste cose giravano fra le mani nelle prime compilation fatte sulle cassette da alcuni negozi di dischi. Lo so che non si poteva, ma è la realtà, magari qualcuno di voi se lo ricorda. (Nel frattempo mi è venuto in mente il mio primo acquisto effettivo: era questo).
E voi? Ve lo ricordate il vostro primo acquisto musicale? E il supporto? Una cassetta? Un disco? Un CD?
Il digitale ha cambiato tutto. Lo ha fatto culturalmente. E l’ambito musicale è stato forse il primo “luogo” in cui abbiamo sperimentato un modo nuovo di pensare al rapporto fra supporti e contenuti.
Lo spiega bene spiega bene Roberto Recchioni in un suo post dedicato a questa giornata:
Con i mie soldi, che cosa acquisterei? Il contenuto? No, quello posso averlo gratis (se non mi gira di fare l’onesto), oppure ad un prezzo molto più conveniente, comprandolo in digitale. La musica è il medium che, più di ogni altro, non risente dell’abbandono del supporto fisico. E non venitemi a dire che un cd si sente meglio di un file digitale. La qualità del file digitale dipende dalla compressione e la rete mi permette di trovare file non compressi che hanno una resa audio superiore a quella dei cd. Fermo restando che io, comunque, non ho un impianto in grado di valorizzare questo aspetto (e dubito che ce l’abbia la maggior parte di voi) e non ho l’orecchio abbastanza affinato per capire appieno la differenza di qualità. Un MP4 e le mie cuffione della Bose per me bastano e avanzano per sentire bene la musica, e questo è quanto. E quindi, torniamo a bomba: quando compro un cd che cosa sto comprando? Un supporto. Che è brutto, scomodo da portarsi dietro, non ecologico, sconveniente sia in termini economici che in termini di spazio. E che utilizzerò una sola volta perché, appena arrivato a casa, di quel cd non farò altro uso che riversarlo su un hard disk per poi dimenticarmene.
La distanza è questa. È siderale. L’abbiamo già sperimentata e non fa altro che produrre l’effetto nostalgia. Nostalgia per il supporto e il suo modo di comunicare il contenuto. Ve le ricordate certe copertine che giocavano con la forma? Come quella a forma di zippo di “Catch a fire” di The Wailers (1973).
E gli interni che si squadernavano fra testi e immagini. Oppure certi vinili colorati (di solito erano tutti rigorosamente neri). Certi effetti delle etichette sul 33 giri che si producevano quando il disco girava sul piatto … Tutte qualità della forma che hanno trovato poi un mercato di nicchia, che sono presenti anche oggi per quella realtà rappresentata dai fan, ad esempio. Il supporto è superfluo, dunque? Un nostalgia vintage nell’epoca del digitale? Conclude Recchioni:
Sono tornato in questo vecchio negozio per ritrovare la magia del comprare i dischi “veri” ma l’unica verità è che non c’è nessuna magia. Non c’è mai stata. Era solo una mancanza di scelta che ha generato un’abitudine a cui ho legato dei ricordi piacevoli perché connessi alla scoperta e all’ascolto della musica. Il piacere non è mai derivato dall’oggetto ma dal contenuto.
Credo che, comunque, la “magia” stia in un insieme dove contenuti, forme, pratiche e tecnologie dell’ascolto si miscelano nella nostra memoria generazionale. Perché molti adolescenti, oggi, caricano sull’iPod la musica, magari condividendola, del loro cantante preferito ma anche i testi da leggersi mentre ascoltano andando a scuola e le foto da scambiarsi con gli amici. E il fascino di “incontrare” un nuovo gruppo scartabellando dischi tra contenitori o facendoseli suggerire dal negoziante o da un commesso poco più grande di te trova oggi nuove forme nella navigazione online e nel filtraggio collaborativo di amici e siti…
Ciò non toglie che Nannucci, il “mio” negozio di dischi, non ci sia più.
A parte Caterina Siepe, tra i primi dieci non mi piaceva niente di quella classifica del 78. Per fortuna poi gli anni settanta sono finiti (parlo dei miei gusti musicali, non altro…).
I miei negozi di dischi me li ricordo benissimo: in Alessandria Otelllo e negli anni ottanta a MIlano Supporti Fonografici…
Fine anni 80. Il sabato esco di casa alle 3 del pomeriggio circa con 50mila lire in tasca, qualche cosina in più se sono riuscito a risparmiarlo in settimana, qualche cosa di meno se me lo sono bevuto con gli amici la sera. Mi vedo con gli altri in centro a Bordighera, prendiamo il bus ed andiamo a far visita a 3 selezionati negozi di musica in Sanremo: PopOff, Rerain e Love Musica. Con le 50mila faccio uscire 2 LP e un EP, o un singolo. Sono vinili. La scelta è tanto adrenalinica quanto straziante, qualche cosa fuori la devo sempre lasciare. Ore a scegliere i 3 gioiellini della giornata, quale comprare subito, quale riservare alla settimana prossima. Di ogni ellepi candidato all’acquisto ne conto le copie sugli scaffali. Quello più presenti possono slittare, gli altri li prendo subito. A volte la scelta è troppo difficile ed anche a causa della giovane età qualche vinile cade accidentalmente nel sacchetto. Questi sono anni in cui la musica ha una casa, sta lì, in quel piattone nero e solcato, malamente protetto da lucente copertina il cui fine ultimo è soprattutto conservarlo al meglio. C’è un fruscio che ascoltando e riascoltando i dischi tende a farsi sempre più presente. Poetico.
Qualche anno più tardi arrivano i CD, più piccoli e più costosi. Faccio fatica ad abituarmici, forse per il prezzo, o forse perchè accumulare CD non mi pare così bello, nell’atto pratico intendo, metterli uno a fianco all’altro, sono tutti troppo uguali. Ho poi da sempre la ferma convinzione che, rispetto al vinile, esca fuori un suono diverso. Il vinile prende la musica sottobraccio e l’accompagna fuori delicatamente, questa è più calda e accogliente. Il CD la sputa via con forza, se ne sbarazza; ne esce un suono irrigidito e freddo. A metà degli anni novanta tutti comprano i CD, io gratto il fondo per non rassegnarmi. È rimasto solo Refrain a vendere il vinile a Sanremo. L’ultimo che compro è Second Coming degli Stone Roses, grande album. Quando arrivo a piegarmi al CD lo faccio in poche occasioni acquistando tramite quei cataloghi che arrivano per posta, sempre versioni economiche di cose che già possiedo in vinile. Insomma, “copie di backup”. Ad onor del vero va detto che, seppur meno spaziosa e accogliente, la musica con il CD gode ancora una casa; un dischetto luccicante, argenteo, contenuto da una rigida custodia plasticosa mal progettata alla quale si rompono sistematicamente o le piccole cerniere che ne permettono l’apertura o le linguette che fermano il CD, o entrambe.
Arriva internet e arriva l’emmepitrè, accompagnato da Napster e da tutti i suoi fratellini. Un po’ come tutti (e forse anche un po’ prima) questa volta non faccio fatica ad affezionarmi ad una roba che è soprattutto, possibilità, brama. Probabilmente l’idea di ascoltare facile chili di musica, senza prendere il bus, senza portarmi sacchetti dietro, senza sperare di trovare qualche cosa per poi non trovarlo lo sento come un valore aggiunto. Adesso la musica la trovo tutta.
E Lei? La musica come concetto neanche troppo astratto, quella roba quasi fisica, consolatoria, intrigante, liberatoria che fino a qualche tempo fa ha avuto una residenza fissa, il vinile o il CD, o nel peggiore dei casi la musicassetta, adesso dove se ne sta? Adesso non la colleziono più, è incollezionabile, semplicemente l’archivio. La musica non ha più una casa. Prima stava dentro qualche cosa per essere riprodotta da qualche cos’altro, adesso vive in un impalpabile limbo chiamato emmepitre, bit, uno e zero. Semplicemente esiste e viene riprodotta, stop.
La possibilità di masterizzarla è un’ opportunità, nulla più. Di fatto la posso sbattere ovunque, dal pc al CD, al lettore emmepitre, al tom tom, al telefonino, alla console portatile; la posso parcheggiare e sfrattare continuamente come accadrebbe ad un senzatetto.
La musica, un clochard. O forse si è semplicemente liberata.
Credo che, comunque, la “magia” stia in un insieme dove contenuti, forme, pratiche e tecnologie dell’ascolto si miscelano nella nostra memoria generazionale.
Concordo, o almeno io lo sento così a mia volta. Il mio negozio di dischi preferito, che ovviamente non è più nel luogo in cui era e comunque è profondamente cambiato nel tempo, si chiamava Rock and Folk, e aveva due piani, quello a lato marciapiede e uno sottoterra. Tutti i punk e i musicisti rock torinesi dei primi anni ’80 si trovavano lì, arrivavano dischi e riviste musicali da Londra, e noi ragazzine/i 14enni ci sentivamo tanto ‘internazionali’ ad andare a leggerle in inglese ascoltando Sex pistols e Clash di sottofondo…