Siamo usciti dall’eden. Da quello stato illusorio in cui “ci conosciamo tutti” e “siamo qui per condividere e crescere assieme”. Anche per Twitter, nella nostra piccola provincia ai margini dell’Impero, ne siamo fuori. L’ingresso di massa (sempre piccoli numeri rispetto a Facebook) complice la presenza di celebrity di ogni pezzatura e l’attenzione da parte dei mass media per il fenomeno dei tweet ha spalancato le porte del giardinetto apparentemente curato e le erbacce hanno cominciato ad infestare il prato. Non che la malerba non crescesse, diciamo che ci sembravano piantine isolate, eliminabili dalla timeline o ci bastava girare lo sguardo verso la parte più curata del giardino. Il fertilizzante conversazionale dei retweet di massa delle celebrità (dato ed ottenuto) e la luce solare offerta dai titoli dei quotidiani ci hanno mostrato un’accelerazione della crescita di piante diversissime che rendono difficile curare il nostro praticello.
Il tema della estrema visibilità della diffusione di informazioni false è una delle conseguenze che abbiamo incontrato. Penso all’ennesimo annuncio su Twitter – e da Twitter smentito – della morte di Fidel Castro analizzato da Luca Alagna e alla responsabilità che molti giornalisti hanno avuto con i loro retweet. E penso al bel commento che viene fatto da Piero Vietti su il Foglio :
Ci sono episodi che fanno sperare che il giornalismo come Dio comanda non sia ancora stato sostituito da quella forma bassa di citizen journalism in cui cercano di trasformare Twitter. […] Il fatto che Twitter per molti giornalisti abbia sostituito la consultazione delle agenzie ha accelerato il dibattito in rete, dato brio alle discussioni e maggiore eco alle notizie. In molti casi però ha trasformato l’accertamento della verità (parola scivolosa, in questo mestiere) in un retweet.
Perché Twitter non è una testata giornalistica, né funziona come tale. I giornalisti che aprono un profilo per usarlo come megafono della loro voce editoriale mi sembrano spesso pensarlo a partire dalla loro esperienza di redazione tipo “twitter come l’Ansa dei tempi moderni” e “i Trending Topic sono quello che deve diventare agenda della giornata”. La verità è che un re-tweet non fa la verità. E che la reputazione online ce la si costruisce non attraverso la velocità di condivisione ma con la “cura” dei contenuti. E non c’è una gara di velocità fra giornalisti e non giornalisti per vedere chi è più citizen.
Sarà che tutto questo stare su un social network uscito dall’eden porterà i giornalisti a confrontarsi con il loro peccato originale?
Non so se l’evoluzione di Twitter porterà i giornalisti a confrontarsi con se stessi, ma almeno sapremo finalmente se Twitter può davvero essere un social network qualitativamente diverso dagli altri. Una rete di socializzazione, non solo di chiacchera.
Il link al post di Alagna è sbagliato, c’è un ] di troppo 😉
Reblogged this on i cittadini prima di tutto.
La rete va presa per quel che è, un posto dove tutti possono parlareme diffondere pensieri velocemente. Ovviamente dopo aver decantato per anni questo come il suo bello (visione fideistica) adesso è tempo di scoprire che può essere anche il suo brutto.
[…] mi era sfuggito questo post di Giovanni Boccia Artieri sull’argomento utile per approfondire la questione. Ecco rimediato […]
[…] la pena soffermarsi invece ad osservare l’associarsi fra lo “sbrigatismo” informativo di un giornalismo che rincorre oggi quello che si sente/legge su Twitter, l’utilizzare un social […]
[…] Boccia Artieri parla di sbrigatismo informativo, io lo definirei piuttosto “sbrigativismo“, cioè pensare di cavarsela in fretta […]