Dentro e fuori da Facebook: lo sfolgorante scintillio delle relazioni sociali mediate online dopo la corsa all’oro

Gli ultimi cinque anni di evoluzione della Rete in Italia hanno cambiato la nostra esperienza di stare online e, complici le riflessioni aperte a fine anno sulla relazione fra blog e social network, sta emergendo un dibattito culturale “critico” che mette in prospettiva il nostro modo di affrontare i prossimi anni sul web.

Credo, infatti, che siamo andati un po’ più in là rispetto alle solite  riflessioni “ombelicali” della blogosfera o di una supposta élite della socialsfera. Una riflessione che parte dalle esperienze personali di coloro che hanno vissuto da early adopters lo sfolgorante scintillio delle relazioni sociali mediate online da blog e social network e che si trovano a ripensare il loro modo di “stare” online, che poi significa ripensare l’equilibrio fra pubblico e privato in uno spazio che fa della propria esposizione la cifra esistenziale.
Luca Conti, spiegando la sua parabola personale su Facebook, ci racconta di come sia passato da una sua presenza sul social network caratterizzata dalla strutturazione di rapporti personali alla consapevolezza di gestione della sua “persona pubblica” che lo ha portato a trasformare il profilo in una pagina e, poi, di sfruttare strategicamente la doppia impostazione di privacy concessa da a. possibilità di rilasciare contenuti pubblici che vengono letti anche da chi non è friend, b. “cerchiare” i friend consentendo gradi diversi di accesso ai suoi contenuti personali.
Una parabola che prendo ad esempio per evidenziare l’emergere di una consapevolezza circa la necessità di mettere a tema e focalizzare meglio la relazione tra dimensione pubblica e privata ai tempi del web sociale nella costruzione e gestione della propria identità. Una consapevolezza non solo di Luca ma di tutti quelli che sono entrati in un territorio digitale strutturato attorno a rapporti personali (forti o deboli che siano) di amici della propria vita quotidiana, colleghi di lavoro e persone “conosciute” online che in pochi anni è evoluto in direzione di massa per chi, come lui, ha una forte dimensione pubblica online data dalla sua attività di lavoro:

il fatto che Facebook ci permetta di esprimere noi stessi secondo alcune modalità e non altre, genera una immagine di noi stessi che non corrisponde esattamente a chi siamo, ma una parte di noi. Lo stesso vale per le dinamiche di relazione, costrette entro certi meccanismi e non altri. Ciò alla lunga influenza il modo in cui gli altri ci percepiscono e noi stessi ci percepiamo e non è un bene. […]Non l’unico modo con cui ci presentiamo al mondo e in cui ci rispecchiamo, ma una tessera del mosaico della nostra identità, con altre tessere reperibili online e offline.

Eppure nel ripensare il nostro modo di stare su Facebook possono emergere anche le condizioni che rendono “necessaria” la nostra presenza. Lo spiega bene ad esempio Fabio:

Per quanto annoiati, infastiditi, arrabbiati e forse perfino preoccupati, gli italiani sono ancora lì. Soprattutto, gli amici sono tutti lì. Quelli in carne e ossa, ma anche i tanti conosciuti in questi mesi sulla bacheca del blog o su quella personale. Persone magari mai incontrate per strada, ma di cui ho imparato ad apprezzare gli argomenti, capirne gli interessi, a volte perfino a ridere delle reciproche manie. Una umanità troppo varia e interessante per recidere i ponti digitali e lasciarmi sull’altra sponda del fiume, dove non giunge Facebook

Anche Giacomo Cannelli ha ripensato la sua posizione in Rete e ha deciso di cancellarsi da Facebook –  anche se sappiamo che i nostri dati verranno conservati per sempre e che, quindi, semplicemente non siamo più accessibili. Qui mi sembra che il punto sia quello di mettere a tema le possibilità di auto-osservazione della propria vita pubblica(ta) e del rapporto con l’oblio. Una scelta che, in definitiva, è quella di liberarsi dalla diacronizzazione della timeline:

Ha senso avere sempre tutto davanti a noi? E se avere tutto il nostro passato davanti agli occhi ci facesse prendere decisioni che altrimenti non avremmo preso? Lo so divento cervellotico. Ma è così. La mente dimentica. Ricorda quando serve. Certe volte scordarsi di qualcosa è una cosa positiva. Altre volte no. Ma siamo noi a deciderlo. In questo modo tutta la nostra esperienza rimane “stampata” sulla nostra timeline. Arriverà un giorno in cui sarà impossibile dimenticare. Non so se voglio arrivare a quel giorno.

Cinque anni in Rete su Facebook. Un tempo che ci ha permesso di metabolizzare l’effetto “nuovo mondo” e relativizzare “la corsa all’oro” che ha visto produrre nel tempo pagine ghost town e cittadine fiorenti. Iniziare questo 2012 con uno sguardo critico ci aiuterà, forse, a prendere le distanze dal mito che “l’Ovest online” ha prodotto e distinguere meglio la pirite.

7 pensieri riguardo “Dentro e fuori da Facebook: lo sfolgorante scintillio delle relazioni sociali mediate online dopo la corsa all’oro

  1. L’immediatezza dell’inervento si fb ci fa dimenticare le conseguenze di ciò che scriviamo, che, invece, merita una risposta soltanto immediata, che poi sembra dimenticata. Possiamo, nel tempo, recuperare ciò che abbiamo scritto non le impressioni, le reazioni emotive di chi ha ricevuto un messaggio. C’è quindi una scissione tra lo scrivente e il lettore, non recuperabile, diversamente da ciò che avviene con la letteratura, che stabilisce un rapporto emotivo ed infinito tra scrittore e lettore, che si ripete ogni volta che si rilegge uno scritto di un autore. Fb, il blog ed altro costituiscono un nuovo tipo di comunicazione, che è nella realtà attuale e dobbiamo saperlo gestire senza confonderlo con la comunicazione diretta e con la comunicazione letteraria. Cambia anche il linguaggio e i piani di comprensione semantica. Guai se lo rifiutassimo, guai se lo sostituissimo ad altro.

    1. E’ interessante capire come struttureremo l’aumento crescente di una comunicazione “diretta” sempre più “mediata” e come gestiremo la dimensione emotiva che ne scaturisce, in particolare quando molti di questi contenuti sono in pubblico.

  2. Come dice Luca Conti, i social network sono solo una tessera del mosaico dell’identità, ma io aggiungerei che sono anche delle gabbie che racchiudono una visione identitaria che, per essere accessibile a tutti, non rappresenta nessuno se non, primariamente, il creatore della gabbia. Un uso critico dovrebbe muoversi da questa consapevolezza, accompagnata magari da un’alfabetizzazione digitale alta come quella promossa da Henry Jenkins: una cultura che passi attraverso i nuovi media e i nuovi software, adeguandoli, nella misura in cui sia possibile, alla nostra personale idea di mosaico di noi stessi.

    1. Hai ragione Paolo, anche se l’idea per me interessante è che spesso più che essere gabbie sono componenti con cui ce le costruiamo. E’ questo forse il senso maggiore che assume la tua esortazione ad elevare il livello di alfabetizzazione.

      1. Il nodo è proprio questo, Giovanni: quanto queste componenti siano già costruite da altri per noi e quanto invece possano essere (ri)costruite da noi per noi. La vera rivoluzione del Web, sono d’accordo con te, sta tutta nella disponibilità della seconda ipotesi, mentre l’inevitabile (e sotto certi aspetti benvenuta) tendenza del mainstream sta tutta nel servire soluzioni pronte per qualsiasi uso.

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