Scrive Beppe Severgnini nella sua blog rubrica “Italians” un post a proposito dell’anonimato e della nuova policy introdotta:
La questione è quella dell’anonimato. E’ stato detto e scritto, anche da parte di persone informate e perbene, che rappresenta la libertà. Non sono sicuro di questa equivalenza, in una società aperta. Temo possa diventare, invece, un invito all’irresponsabilità e una copertura per l’ignavia; a lungo andare, la ricetta per l’irrilevanza. Non sapere chi dice una cosa rende questa cosa meno interessante: non viviamo dentro un romanzo di Sciascia. Da sempre pretendo che le lettere a “Italians” vengano firmate: nome, cognome, email. Io ci metto la faccia, ho spiegato. Quindi, se non vi spiace, fatelo pure voi. […]
Firmandosi Lettore 98765, Scarpette Rosse o VendicatoreBrianzolo – nomi di fantasia, non voglio gratificare gli esibizionisti – molti hanno preso a tempestare il blog di ripetuti, petulanti, lunghissimi, anonimi commenti. Dal 1° gennaio non è più possibile: pretendiamo nome e cognome, e abbiamo introdotto un numero massimo di caratteri (500, viva la sintesi!).
Non entro nel merito della scelta di ribadire il potere asimmetrico di chi può scrivere post lunghi e pretende commenti brevi.
E ho già scritto a proposito del diritto al soprannome e sulla relazione fra questo e la nostra identità. Ma vale la pena sottolineare che il commentatore di Severgnini non è “anonimo” ma utilizza uno pseudonimo, visto che si firma ScarpetteRosse! E credo anche che la pretesa del “nome vero” – o supposto tale – nei commenti non rappresenti una garanzia di qualità.
Al proposito vi consiglio di leggere i dati rilasciati dalla piattaforma Disqus dedicata ai commenti…
… in cui si spiega come le persone che hanno uno pseudonimo commentano 6.5 volte in più di chi commenta in modo anonimo e 4.7 volte di più di chi usa un nome vero e dichiara:
Disqus maintains that not only does allowing pseudonyms produce more comments, but the quality of the comments is also better, as measured by likes and replies.
La qualità di chi commenta con uno pseudonimo, ci dice l’esperienza comportamentale, è più elevata di chi usa il nome reale. Dietro allo pseudonimo ci possono essere motivi molto diversi legati al pudore della propria esposizione o al timore (si parla del proprio lavoro, della propria esperienza familiare, della propria etnia…).
Il resto mi sembra molto una battaglia di retroguardia dettata dalla difficoltà di gestire attraverso policy comportamentali – sollecitando anche l’auto regolamentazione della comunità dei lettori-scriventi – le intrusioni moleste, la maleducazione, ecc. e di affrontare un ambiente conversazionale complesso che non credo possa essere regolato usando il feticcio del nome vero come garanzia di trasparenza o di freno alla disinibizione digitale.
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sinceramente il “Non sapere chi dice una cosa rende questa cosa meno interessante” non mi sembra particolarmente condivisibile 🙂
Ancora??
Reblogged this on i cittadini prima di tutto.
Una battaglia di retroguardia, meno che retroguardia. Mi trovo costantemente attaccato (da sempre) perché uso uno pseudnimo. Benché sia registrato alla SIAE e quindi corisponda esattamente al mio nome anagrafico.
La cosa divertente è che nel mio caso il problema si manifesta in caso di difficoltà di gestione, sì, ma delle argomentazioni. Di solito lo pseudonimo mi viene rinfacciato quando in una discussione si arriva a un punto di non ritorno: allora lì scatta sempre l’affermazione “e comunque stai zitto tu, che ti NASCONDI dietro uno pseudonimo”…
Ecco, un caso concreto di trasparenza con pseudonimo.