Impact design

È venuto il tempo di guardare all’orizzonte dello sviluppo che ci attende e di ripensare i rapporti tra noi esseri umani, le specie che ci circondano e il pianeta che abitiamo. E di farlo ripartendo dal senso del rapporto tra società e mercato, sotto la pressione del modo di vivere che abbiamo costruito nell’Antropocene.

Come scrive in Agency at the Time of the Anthropocene Bruno Latour

Il senso di vivere nell’epoca dell’Antropocene è che tutti gli agenti condividono lo stesso destino mutevole, un destino che non può essere seguito, documentato, raccontato e rappresentato utilizzando una delle vecchie caratteristiche associate alla soggettività o all’oggettività. Lontani dal provare a “riconciliare” o “mescolare” natura e società, l’obiettivo politicamente cruciale è al contrario la distribuzione dell’agency il più lontano e nei modi più differenziati possibili

Il modo cioè in cui creiamo, scambiamo e distribuiamo valore oggi deve necessariamente tenere conto dell’interdipendenza di capitale sociale, culturale, umano, naturale, economico e finanziario. La generazione di ricchezza o si accompagna alla generazione più ampia e completa di benessere civico o è destinata a fallire. È questa l’idea dietro al concetto di “impact” che si sta stagliando sempre di più come orizzonte dello sviluppo, uno sviluppo che non può più permettersi di sacrificare l’equilibrio tra le diverse forme di capitale e che deve ripensare a come distribuire agency tra tutti i soggetti in gioco.

E questo riguarda in modo terribilmente serio imprese e brand. È il purpose, ma non come una retorica del marketing. È la sostenibilità, ma non come green washing. È la responsabilità sociale d’impresa, ma non come storytelling di superficie per raccogliere reputazione facile che diventa un vuoto a perdere.

Le imprese e i brand abitano concretamente i mondi sociali in cui operano, perciò incorporano valori e distribuiscono valore; devono quindi riconoscere come redistribuire agency al tessuto di consumatori, cittadini, luoghi, altre imprese, ecc. di cui fanno parte.

Quello che dobbiamo fare è quindi costruire una nuova narrativa sulla dimensione dell’impatto, che si alimenti dalle strutture di governance di imprese e brand e che si rifletta su di esse, indicando come ogni decisione si rifletta sulla collettività e debba quindi cercare con forte intenzione di garantire l’equilibrio fra tutti i capitali coinvolti (economico, finanziario, sociale, culturale, ambientale, ecc.) piuttosto che immaginarne la priorità solo di alcuni.

Con Paolo Iabichino abbiamo costruito, attorno a questa consapevolezza per la quale “i profitti valgono quanto i diritti”, una summer school all’Università di Urbino Carlo Bo sull’impact design.

È rivolta a chiunque sia interessata o interessato a questo contesto professionale, che sia in organico a aziende o che sia una studentessa o una studente che voglia riporre nella sua cassetta degli attrezzi degli strumenti che domani potrà usare nel mercato del lavoro per riparare le falle di un’economia disattenta all’impatto.

Parleremo di: Digital communication and networked brands, Civic brands, Marketing aumentato, Progettazione culturale e Corporate Journalism.

Saranno, tra gli altri, con noi: Roberta Bartoletti,Alice Siracusano, Vincenzo Cosenza, Guido Guerzoni. E avremo la collaborazione di Ipsos Italia.

Tutte le informazioni le trovate sul mini sito: Impact Design. Progettare la nuova responsabilità sociale per la comunicazione delle imprese

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