La coda della coda lunga

long long tail

[Questo post è stato scritto in più momenti della giornata di ieri e di oggi e attraverso diversi mezzi. In treno mentre caricavo il computer. Con il PC per 5 minuti mentre assistevo alla conferenza, il tempo che la banda si saturasse e decidessi di spegnerlo – e tanti slauti al live blogging. Sul taccuino con una matita regalata dall’organizzazione e con il mio fido tratto pen customizzato in giallo. Dopo la “Lunga cena” in albergo, ma sempre senza connessione chè qui mica siamo a Boston – a meno che non consideriate che 5 euro all’ora sia una transazione seria e sensata. Editing finale a casa.]

Mettetevi seduti. Aumentate la luminosità dello schermo. Si comincia.

ore 9:45 

L’occasione è ghiotta. E non si tratta solo di poter conoscere live Chris Anderson e di sviscerare le forme della Lunga Coda. Ma di poter osservare come la platea di invitati, CEO e operatori di importanti aziende infocom e di media mainstream, consulenti del new marketing, blogger, istituzioni universitarie, ecc. si relazioneranno alla Teoria.

Si, perchè dietro c’è l’attenzione di “innovatori” e “consolidati” – ma anche di indigeni e civilizzati – per le nuove caratteristiche del mercato, ma anche degli individui e delle relazioni tra loro e di come queste si rovescino sul mercato: non saremmo qui a parlare se no di buzz marketing, di brand tribe, ecc.

C’è un nuovo linguaggio, quello del web 2.0, e una nuova grammatica, quella dei social media, che pervade la mediasfera (anche italiana): quali temi verranno toccati nell’incontro? Quali risvolti della “lunga coda” saranno toccati? Quale linguaggio verrà utilizzato? Quale orizzonte semantico si produrrà?

L’incontro per me, Aca/Blogger , è questo, un luogo di osservazione delle sensibilità nei confronti di una realtà che si percepisce in mutamento e la possibilità di osservare quale scenario disegneranno i presenti.

Ore 16.30

Puntuale mi presento al Four Season dove subito incontro Vittorio Bo, editore italiano della “Lunga coda” e vedo di sfuggita Gentiloni che si apparta per chiacchierare con l’organizzazione. Il lato “civilizzatori” è presente. Sullo sfondo un gruppetto di blogger – ne riconosco subito un paio – che, amabilmente, seduti chiacchierano. Anche i “nativi” sono comparsi. Riesco anche a chiacchierare con i Ninja, così li “costringo” a venire a Pesaro 😉

Puntualissimi si comincia in una sala pienissima con 200 persone all’incirca.

Chris (lo hanno chiamato tutti così… e perchè io no?) racconta fondamentalmente le cose contenute nel libro, che sono state apparentemente note ai “nativi” – commenti di vicinato, confermano – ed estranee ai “civilizzatori”, come dimostrano soprattutto alcuni commenti dal tavolo dei relatori.

[Youtube=http://www.youtube.com/watch?v=QMWvAID9DqM] 
Le prime battute nel video messo gentilmente a disposizione da David Orban (che ha educatamente chiesto il eprmesso a Chris di postarlo su YouTube).

La chiave di lettura è che la cultura della hit è omologa alla diffusione e pervasività dei media di massa mentre dal 2001 cominciano ad emergere le differenze che erano latenti. La parola chiave utilizzata da Anderson (chè Chris mi sembra troppo confidenziale) è FRAGMENTATION: il pubblico, pensato come singolare, si presenta come multivariato.

Una conseguenza sta nel fatto che la dimensione di valorizzazione della distinzione del gusto oggi si generalizza. E questa generalizzazione viene sia incorporata che promossa sia dai brand che dagli intermediatori. Come nel caso fatto da C.A. di zappos.com che introduce il cliente nella frammentazione fino a proporti scarpe vegentarian. O di Converse che le fa.
 Un’altra nella (co)produzione user-generated. Come nell’used-generated fashion che ti propone di farti la tua t-shirt (ok, Chris – riprendo confidenza- ha fatto l’esempio di Threadless che è più calzante, ma mi andava di farne un altro).

Siamo di fronte ad una nuova forma culturale, che Anderson ha sintetizzato così: “C’è una cultura punk rock che diventa mainstream”.

Un altro interessante punto del suo intervento ha a che fare con la relazione tra raccomandazione da una fonte fiduciarie ed influenza. E’ evidente che le nuove forme di “connessione” di conversazioni promosse dai social media crea un modello differente fondato su fiducia e reputazione: ogni link si porta dietro un po’ reputazione. E le tecnologie di monitoraggio – attentissimo a questo è il mondo business -propongono modelli di misurazione dell’influenza che verranno giocati sempre più nell’advertisement, nella costruzione di legami fiduciari al brand, ecc.

In pratica ci troviamo di fronte ad emergenze che possiamo cogliere solo osservando la coda della lunga coda e i microfenomenti che lì si mostrano.

Le domande sono state molte, senza necessità di essere sollecitate. E mi sembra abbiano confermato la distinzione (solita) tra nativi e civilizzatori.

I secondi hanno utilizzato il linguaggio proprio di una semantica del moderno, attraverso affermazioni e domande del tipo “è interessante parlare di mercati di nicchia”, “ma noi che in Italia siamo fatti di PMI come dobbiamo fare?”; oppure: “non è che cresce anche l’omologazione? che ad esempio se crescono i modelli di birre disponibili da una parte, dall’altra diventiamo tutti più obesi?”; e anche: “si creeranno due società: una sempre più partecipativa e l’altra sempre più trash?”.

I primi hanno mostrato una competenza che è riuscita a toccare punti “vivi” della Teoria della Lunga Coda: due per tutti il problema della qualità all’interno della “coda” e quello di elementi della “coda” che passano alla “testa”.

Il resto è la Cena Lunga, più di ottanta presenze, veramente impossibile parlare con tutti.

Titoli di Coda.

Grazie ad Antonella che nonostante Matteo ha portato me, Gianluca, e Lele al ristorante. Grazie a Giovy che ha pensato a tutto e tutti preparandoci anche i badge. Un saluto e un ringraziamento per le interessanti chiacchiere (oltre ai già citatati) a Gianluca, Valerio, Adriano, Federica, MarcoElena … Troppi! A sfumare…

4 pensieri riguardo “La coda della coda lunga

  1. There is an argument to be made for giving Morkel time in the middle, mostly because he has not had much, but to do it in a major tournament illustrates South Africa have got the timing of their experimentation wrong. Morkel should have been picked for the umpteen matches they played in the lead-up to the tournament Marlboro Lights. To do it here, in a match they needed to win big, not only highlights how lightly they regarded their opposition but also how much homework they have not done.

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