Facebook e l’ascesa della cyberborghesia 3

/credits: nosha

E’ tutta questione di soldi, ragazzo. Il resto è conversazione.

Wall Street, Oliver Stone

Da una parte il Capitale. Dall’altro le chiacchiere.

Lo dico meglio.

Da una parte c’è il farsi economico del mondo, un movimento che produce un valore quantitativo dalle forme qualitative, come le conversazioni.

Dall’altra c’è lo “scarto”, ciò che fa da volano per produrre il valore economico e che produce “residui” come le emozioni, le passioni e, perché no, le relazioni fra le persone.

Prendete Facebook e provate ad osservare come i milioni di rapporti, di conversazioni fra profili, di scambi di messaggi sul wall, di caricamenti di foto e video da fare commentare, ecc. siano funzionali ad una strategia di mercato.

Senza tutte le possibilità di connessione offerte dal “lavoro” gratuito e libero di milioni di utenti non ci sarebbe “valore” della piattaforma. Come viene retribuito il valore delle conversazioni? Dalla sola gratuità d’uso?

Entriamo più a fondo. Nelle conversazioni su Facebook si producono anche “scarti” emotivi e passionali che diventano un materiale utilizzabile se possiamo analizzarli con strumenti di “sentiment analysis” che sono

a branch of a wider area of computer science that is trying to teach computers to understand the feelings expressed in text just as well as humans do, and the commercial applications of such technology are already starting to be realised.

Analizzarli e sfruttarli. Se faccio futurologia immagino già profili gestiti da una Intelligenza Artificiale “emotiva” che interagisca con te sul tuo wall.

5 pensieri riguardo “Facebook e l’ascesa della cyberborghesia 3

  1. Molto interessante! Due osservazioni: la prima un po’ ovvia… siamo sicuri che una macchina possa imparare a leggere i sentimenti di una persona quando questa impresa è complessa anche per un essere umano, soprattutto in casi di comunicazione mediata come quella dei social network?
    seconda questione: il lavoro gratuito e libero degli utenti è certo il valore della piattaforma, ma è in parte anche la causa del “decesso”: YouTube non riesce a monetizzare dai video degli utenti (ovviamente non è l’unico modello di business), facebook è in crisi a causa degli elevati costi di gestione dei contenuti condivisi dagli utenti… ogni piattaforma è evidentemente un caso a sé, ma sembra che la natura stessa dei social network li conduca all’implosione… Esagero ovviamente, ma mi sembra indicativo che queste piattaforme “boccheggino”…

    1. – sul software che legge i senimenti: ovviamente si tratta sempicementedella possibilità di analisi automatizzata dei testi capace però di raccordare stati emotivi espressi a parole e prodotti, personaggi, ecc. Insomma: l’esporci in pubblico fa sì che ci facciamo leggere 🙂
      – sul lavoro gratuito: è vero il discorso che fai delle piattaforme (di queste). Ma pensa più in generale a tutta qulla sollecitazione agli UGC (dalle agenzie di disintermediazione della pubblicità al lavoro produttivo dei fan) che, chiaramente, chiederà nel tempo una “restituzione” da parte degli utenti.

  2. le premesse mi paiono un tantino fuori posto, giovanni, inficiando cosi’ il ragionamento complessivo:

    > forme qualitative, come le conversazioni.

    ma chi l’ha detto che conversazioni = qualita’? anzi, e’ sempre piu’ vero l’opposto, purtroppo: conversazioni = fuffa, rumore, caos (in italia piu’ che altrove)

    FB e co. sono basati su questo equivoco, che il semplice covnersare e ritrovarsi li’ crei valore, mentre la realta’ e’ che blog, social network e simili sono solo altre stelle cadenti nel firmamento della rete che vanno perdendo senso e saranno presto sostituite da altre modalita’ relazionali (pur continuando ad esistere, ovvio)

    altrettanto ovvio che si cerchi di sfruttare tutto il possibile, commercialmente parlando, anche con analisti computerizzate – e ancor piu’ il rumore purche’ lo si mantenga tale, altrimenti si scopre la vacuita’ di blog, social network e tutto crolla – potenziali sfruttamenti inclusi

    riguardo “l’ascesa della cyberborghesia, beh, quella risale a oltre 15 anni fa, e va ben oltre la presenza di pescecani commerciali dentro e intorno a FB…

    1. bernardo, parlando di “forme qualitative” mi riferisco ad una distinzione dalle “forme quantitative” cioè a dati aggregati (ad esempio di quanti vedono un sito, ecc.). E’ per dire: si analizzano le semantiche delle conversazioni e si cerca di trarre valore da lì.

      Non voglio infatti dire che queste forme sono “di qualità” 🙂 La dimensione triviale, banale, o anche, come tu dici “di fuffa” si annidano nella marea di conversazioni che pervadono la quotidianità delle vite. Credo che in questo senso Facebook ne sia un esempio.

      Il mio, piuttosto, è un modo di ripensare al “valore” che diamo alla realtà conversazionale. Che è stata promossa e venduta al marketing, così, sulla fiducia che tutto abbia valore, appunto.

      Sulla cyberborghesia. Non sono d’accordo. E’ solo oggi che cominciamo ad avere un accesso massificato non solo alla rete ma a pratiche di scambi pubblici fi conversazione. Pratiche che ci mettono in pubblico. La differenza con la Rete di 15 anni fa sta lì 🙂

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