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Quando si tocca la Rete (e la si mette a tema) ovviamente si scatena sempre una conversazione che parte da un punto e arriva ad un altro. E di solito l’altro è la lotta di classe: giornalisti/insegnanti, ad esempio… La sensazione sembra essere questa. Indipendentemente dalle volontà. E su entrambi i lati i pregiudizi rischiano di emergere.
Il post di Vittorio e le risposte di Lorenza rappresentano bene la cosa. Apparentemente.
Perché il discorso di Vittorio ha statisticamente una sua sensatezza: “come farà una persona che sa niente di quella materia a valutare la congruità e proprietà di espressioni che in italiano non hanno facili corrispondenze e un linguaggio che è pieno di neologismi? La valuterà come povertà di linguaggio, come errori…”
E ovviamente non parlava a quelli che stanno nella parte abitata della Rete e che, come Lorenza, possono entrare in conversazione. Gli altri, magari si fanno un’idea leggendo giornali o seguendo notiziari. E allora, come dice nel suo “contrappunto” Massimo:
la riduzione folcloristica che i media fanno nella stragrande maggioranza dei casi alle tematiche sociali su Internet è in grado di scatenare discreti disastri prima ancora sui docenti chiamati a giudicare che sui discenti invitati ad esprimere pareri e punti di vista.
Continuando su questa posizione ci arrocchiamo. Ma il punto credo sia l’assenza di una media literacy che anche in Italia entri nelle scuole su entrambi i lati (studenti e docenti) e che in casi come questi rende evidente il rischio associato alle carenze.
Ma i pregiudizi emergono pure sugli alunni tacciati in molti post (vedi, ad esempio qui) di qualunquismo o moralismo da tema:
Vale a dire: Internet è un rischio, i social network sono pericolosi, nessuno può più stare da solo in silenzio nemmeno un attimo, non si sa mai chi si incontra, bisognerebbe controllare chi si iscrive a Facebook, ci sono tanti pericoli… Ve lo garantisco: praticamente tutti così, con questo tono da grande fratello orwelliano, che nemmeno l’onorevole Carlucci.
Ma per generalizzare secondo me servono dati, non sensazioni dei singoli docenti. Di qui l’idea della ricerca su questi temi.
Il fatto che il tema venga trattato con toni moralistici è un dato interessante. Ma le argomentazioni che toccano per essere moralisti, il linguaggio utilizzato, la tipologia di scuola, il territorio di riferimento, ecc. sono variabili interessanti da indagare. Sarà così dappertutto? Per ogni tipologia di scuola? Per ogni tipo di territorio? Nelle realtà metropolitane e in quelle periferiche?
Non mi stupisco che un tema come questo sia trattato anche così, e magari dalla maggior parte dei ragazzi. Che siano nativi digitali non significa che siano early adopters entusiasti delle possibilità di certa democratizzazione ed assoluta parità partecipativa (che è poi una panzana che magari adesso, dopo alcuni anni di tecno-entusiasmo dovremmo cominciare a rivedere in chiave critica).
Come commenta Mario Tedeschini Lalli:
Questi primi risultati tendono a confermare una ipotesi che facevo, che cioè si sarebbe trattato di cose generiche, probabilmente influenzate dal “coverage” dei media mainstream. Anche in un ambiente “avanzato” come la scuola di giornalismo (post laurea) dove insegno da 15 anni sono andato scoprendo nei giovani un atteggiamento molto “vecchio” alla Rete e agli strumenti della conoscenza digitale. Non dobbiamo “giudicare”, solo cercare di sapere, avere finalmente dei dati. Se dall’indagine risultasse preponderante un atteggiamento come quello descritto in questo minuscolo campione, avremmo almeno demolito alcuni luoghi comuni sui “giovani” e la loro omogeneità all’universo digitale. Che, magari, utilizzano questi strumenti come utilizzano il motorino, senza necessariamente riflettere sulle conseguenze personali e sociali. Ne sarebbe valsa la pena no?
Questa è la cultura del digitale che possiamo rintracciare, senza enfasi ed entusiasmo. Semplicemente per quella che è, non quella che ci piacerebbe: possono essere nativi consapevoli o inconsapevoli idioti (abbastanza preparati) o solo figli dei loro tempi… vederemo.
PS. Questo post cerca di riprendere le fila di alcune conversazioni su blog e Facebook tracciate fra post e commenti, per tenere traccia e dare organicità. Ma ovviamente rappresenta solo il mio punto di vista.
D’accordo su diverse cose. Non sull’espressione pregiudizi. Io ho prima letto i temi (quelli che potevo, naturalmente non tutti i temi d’Italia) e poi ho dato i miei giudizi. Postgiudizi, quindi, magari fondati su un campione minuscolo; magari sbagliati, se ne può discutere; ma non pre, questo è sicuro.
Ovviamente non c’era un riferimento personale. Il pre-giudizio è relativo ai molti “non aspettatevi granchè” letti in Rete.
E come dicevo, scientificamente, io non do giudizi di valore (ilpunto di vista sociologico non può essere che a-valutativo): quindi né entusiasmo né disperazione. Sono temi, innanzitutto (quindi dipendono dalla condizione di esame, dai vincoli di sistema, ecc.); poi sono una realtà nella quale ci si rappresenta che ha a che fare con la realtà percepita.
Da qui partirei.
bell’articolo complimenti!
http://riflessioniquotidiane.wordpress.com
Mentre l’analisi di Mantellini mi trova pressoché d’accordo, continuo ad essere convinta che il post di Zambardino semplificasse troppo una problematica che, al contrario, è assai più sfumata e contraddittoria di quanto comunemente si pensi, nelle discussioni in Rete e altrove.
A me, sia chiaro, non interessa affatto la difesa corporativa della categoria docente alla quale appartengo né (ci mancherebbe!) mi piace sminuire per partito preso i ragazzi disprezzando le loro eventuali competenze o sottolineando eccessivamente le loro incompetenze. Mi pare tuttavia che molti dei commenti di coloro che stanno partecipando a questa discussione sui nostri blog siano nella sotanza sulla mia stessa linea: non illudiamoci troppo che qui, in Italia, i cosiddetti “nativi digitali” siano davvero così consapevoli degli straordinari strumenti che hanno fra le mani. Sono anch’essi figli di questa società, di questa mentalità, e il nostro, ahimé, è un paese arretrato e vecchio da più di un punto di vista.
Secondo me la discussione dovrebbe spostarsi su questo piano. Il tema sui Social Network inserito nel contesto di un esame vecchio nella struttura, nelle finalità e negli strumenti, è una grande ipocrisia: se i ragazzi alla fine scrivono delle banalità o delle sciocchezze (tipo che Internet è stato inventato negli anni ’80 dal CERN di Ginevra, giuro!) non è mica colpa loro, ma degli anonimi estensori della prova che hanno costruito le tracce pensando di facilitare la vita ai bimbi, proponendo qualcosa di semplice semplice e accattivante (amore, cultura giovanile, social network …). In queste faccende non c’è niente di semplice e scontato: non nel raccontare l’amore, non nel raccontare l’evoluzione dei miti giovani negli ultimi sessant’anni (che tenerezza la bimba che mi ha chiesto chi mai fosse Mary Quant), non nel rappresentare criticamente la propria esperienza in Rete.
[…] tutto il dibattito sui nativi digitali o non digitali si può riassumere (anche) un po’ in questo aneddoto. Che è assolutamente reale e banale; che mi […]
Copiaincollo un commento fatto sull’argomento in questo blog http://www.mantellini.it/?p=6911
…Ritengo però che la peculiarità di questo tema sui SN sia quella che, mentre per noi adulti sull’amore, la guerra, la letteratura, la storia ecc. riusciamo a farci un’idea di come la possano pensare i giovani confrontandola con la nostra, su questo ci risulta molto più difficile perchè sono temi nuovi anche per noi, oltre ad essere inediti per una prova di maturità e in qualche modo pendiamo dalle loro labbra per avere o meno riscontro rispetto a ciò che pensiamo sia.
L’anno scorso una traccia d’esame riguardava la comunicazione con le e-mail e gli SMS, quest’anno sui SN. Entrambe non hanno prodotto, per la mia piccola esperienza, una metariflessione sulle diverse e specifiche particolarità comunicative ed interattive. In tutti e due i casi ci si è trovati davanti a risposte stereotipate, frutto più dei luoghi comuni ripresi dalle TV, che non di una consapevolezza dell’uso che se ne fa.
Però, se nella traccia di quest’anno si parla di “connettivismo”, c’è da chiedersi: chi di questi studenti l’ha sperimentato a tal punto da averne coscienza e conoscenza?
Sinceramente non so e non mi sento di essere particolarmente ottimista.
[…] o sono meno “dentro” la cultura digitale di un – chiamiamolo – immigrato. Come sostiene Giovanni Boccia Artieri: «Che siano nativi digitali non significa che siano early adopter […]
[…] Nativi inconsapevoli/ Giovanni Boccia Artieri, 2010 […]