Westward Google: cartoline americane

Siamo negativamente colpiti dall’odierna decisione di condanna di alcuni dirigenti della Google inc. per la pubblicazione su Google di un video dai contenuti offensivi. Pur riconoscendo la natura biasimevole del materiale non siamo d’accordo sul fatto che la responsabilità preventiva dei contenuti caricati dagli utenti ricada sugli internet service provider. Il principio fondamentale della libertà di internet è vitale per le democrazie che riconoscono il valore della libertà di espressione e viene tutelato da quanti hanno a cuore tale valore.

Queste le parole che gli Stati Uniti d’America fanno calare come macigni sul caso Italiano Google-ViviDown per bocca dell’ambasciatore americano a Roma David Thorne.

Ora, proviamo a distinguere il lato tecno-giuridico da quello tecno-culturale.

Si dice: “non siamo d’accordo sul fatto che la responsabilità preventiva dei contenuti caricati dagli utenti ricada sugli internet service provider”.

Tecnicamente, però, non essendo stato riconosciuto agli imputati (tre dirigenti Google) il reato di diffamazione (in associazione a quello di lesione del diritto alla privacy) sembrerebbe scampato il pericolo di una censura preventiva richiesta agli hosting provider, come affermano gli avvocati Giuliano Pisapia e Giuseppe Vaciago, legali dei tre dirigenti di Google (cosa di cui, leggendo quanto scrive Elvira su Apogeo, non sarei del tutto certo).

Diciamo che comunque sembra che la sentenza abbia cercato di evitare il “pericolo giuridico e culturale”, così lo definisce Vittorio Z., visto il clima del Paese. Anche se – aspetteremo di leggere la sentenza – il vero rischio sarebbe nel veder collassare queste strutture web di disintermediazione sulla pubblicazione dei contenuti dentro le maglie del (pessimo) decreto Romani, ad esempio con una sentenza che sostenesse che “ Google aveva obbligo di registrarsi presso l’autorità delle comunicazioni e della privacy (sono due diverse) come stazione televisiva, assumendone quindi gli obblighi”.

E qui troveremmo tutto il limite di una classe dirigente (politica, giuridica, amministrativa, ecc.) profondamente televisiva, incapace di uscire dal proprio immaginario di egemonia mediale sulle masse – ne ho già scritto qui, quindi non torno sulla cosa.

Sul versante tecno-culturale, invece, il fatto che la voce del Governo americano si faccia ufficialmente sentire in queste ore  non è una questione di poco conto.

La Casa Bianca ha infatti formalmente legittimato la mutazione in atto sostituendo al termine “social network” quello di “social media” e legittimato, corrispondentemente, i nuovi strumenti del comunicare interpersonale-di-massa e lo scenario sociale che si sta generando.

Dobbiamo portare l’informazione, i nostri atti amministrativi dove le persone vivono e discutono, perché questa è la strada per ampliare ed arricchire la nostra presenza ed avere una relazione diretta con la gente

Siamo così inevitabilmente precipitati dentro una realtà in cui le pratiche legate agli User Generated Content si legano alle piattaforme di produzione e distribuzione connessa come Facebook, Twitter ecc. e quelle di blogging in modi indissolubili e nuovi.

Non prendete la cosa come fosse “letteratura”, speculazione intellettuale, ma dal punto di vista degli interessi economici in gioco. L’America dicendo quello che dice intende: l’innovazione per me passa dalla Rete e come Paese io sostengo politicamente e culturalmente questa trasformazione socio-economica. E l’Italia? L’Italia delle televisioni e degli editori di carta che con fare sonnolento sono adagiati sulle loro audience e pubblici polverizzati mentre questa condizione si sta lentamente dissolvendo, l’Italia della cultura e della politica, cosa sta facendo?

3 pensieri riguardo “Westward Google: cartoline americane

  1. L’Italia sta facendo quello che tu stesso intuivi mesi fa quando si parlava di controllo e sorveglianza e leggi speciali sulla rete: inibire, attraverso una serie di pressioni e minacce implicite, l’espressione libera sulla rete. Apparentemente questo caso Google non c’entra nulla, ma la mia impressione è quella: ogni volta c’è una ottima scusa per immaginare controlli e filtri e (di conseguenza) censure: pedofilia, mancato rispetto dei diritti di Autore, pubblicazioni di video decisamente vergognosi (come in questo caso) sono ottime facciate per celare un’intenzione di fondo che percorre da anni (in modo bipartizan) il mondo della politica nostrana: inibire un medium troppo critico.

  2. Credo che il clima culturale rispetto (contro?) la rete in cui la sentenza e il dibattito si va ad inserire siano, ahimè, evidenti. Per questo credo che si proprio ora che la classe degli intellettuali, giornalisti, politici,ecc. debba mettere a tema in tutta coscienza lo stato delle cose.

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