Pensare al modo di stare online dei ragazzi, come abbiamo visto nel post precedente, significa confrontarsi con il significato che danno al loro abitare la Rete: hanging out, messing around e geeking out. O come ho tradotto brutalmente: “bazzicare”, “cazzeggiare” e “darsi da fare e stimarsi”. Bazzicare gli amici Innanzitutto il loro stare in Rete ha a che fare con il bisogno di frequentazioni im-mediate, cioè di proseguire, ad esempio, dentro una chat le conversazioni iniziate a scuola, di condividere il video di un gruppo preferito sul proprio profilo Facebook e commentarlo con gli amici, di organizzare un’uscita del sabato sera aprendo una nota in cui taggare i propri friends e decidere lì dove trovarsi ecc. Il senso di essere in connessione permanente con i propri pari e di essere continuamente coinvolti attraverso molteplici pratiche, che vanno dalle conversazioni (dalla chat ai commenti su Facebook) alla produzione di contenuti (sui diversi siti di social network e nei blog personali), produce una realtà sociale e di apprendimento che coinvolge e costruisce una intimità comunitaria full time e un modo di stare emotivamente e relazionalmente in pubblico. Gli adolescenti strutturano così attraverso le tecnologie di Rete e quelle in connessione mobile (il cellulare da cui accedere ai propri profili di social network, ad esempio) un modo di stare assieme al gruppo di pari, sempre reperibili e connessi con gli amici, a portata di dita. L’interesse è quindi guidato dagli amici, dalle scelte fatte e condivise, da letture comuni e scoperte di contenuti fatte assieme alla propria comunità. Una comunità molto estesa, fatta di intimità più stretta – il proprio gruppo – ed allargata – gli amici degli amici e coloro che interagiscono incontrando quotidianamente le comunicazioni degli altri attraverso le esplorazioni sul web.Cazzeggiare in Rete È vero, spesso i giovani perdono tempo e “cazzeggiano” in Rete. Cercano contenuti diversi nei siti, leggono informazioni sparse, rintracciano foto particolari dei loro idoli musicali da condividere online, producono contenuti foto-ritoccando immagini e remixando file audiovisivi (avete mai visto qualche pezzo musicale su YouTube che fa da colonna sonora ad un insieme di immagini che raccontano i primi amori tra adolescenti?), perfezionano i propri profili nei siti di social network … Dietro a questi gesti e prodotti, spesso semplici e banali, si esplicita una modalità di apprendimento che avviene attraverso modi di esplorazione e sperimentazione che contengono un alto livello di coinvolgimento e contemporaneamente un basso livello di responsabilità cognitiva. Ciò che conta non sono tanto le conseguenze della loro produzione, la qualità di ciò che viene espresso. Non si carica ogni azione necessariamente di un senso di successo o fallimento, quello, al limite, lo si desume osservando like e commenti ricevuti o non ricevuti, ma è secondario. Ciò che li muove è un interesse di fondo che ruota attorno alla possibilità di esprimersi anche in modi occasionali, casuali e puramente sperimentali, anche senza precise finalità. Così in Rete possiamo trovare giovani che cominciano a scrivere blog o mettere contenuti su uno spazio Tumblr o creare fan fiction, racconti che hanno per protagonisti i characters delle loro serie preferite. Esperimenti che spesso restano allo stato di bozza o di progetti abortiti in fretta per passare ad altro ma che non vanno considerati come fallimenti da noi adulti: piuttosto come modi di mettersi alla prova che producono comunque percorsi di “senso”. Dove noi vediamo tempo perso a stare in Rete possiamo in realtà rintracciare forme di conoscenza che prevedono pratiche di auto-esplorazione e l’acquisizione di capacità fai da te, sperimentazioni da bricoleur. Siamo di fronte a forme di esplorazione e apprendimento auto-diretto, basato su gradi di libertà e autonomia che nei luoghi educativi formali spesso non abbiamo. Nella Rete, invece, troviamo forme di feedback diretto dai friends, immediato e senza sanzione autoritaria ma, piuttosto, riconosciute come commenti autorevoli all’insegna del: chi sa e ha reputazione dice a chi non sa. Darsi da fare e stimarsi delle proprie competenze C’è poi, per i giovani, una modalità particolare di coinvolgimento più profondo con i media e con le diverse forme di informazione e intrattenimento supportate dalle tecnologiche: si tratta di quella propria del geek, che porta a frequentare comunità specifiche in cui si sviluppano particolari competenze (come quelle relative al software ma anche a passioni musicali, ecc.). Sono attività tutt’altro che solitarie, che vanno al di là delle immagini che spesso gli adulti richiamiamo alla mente pensando ad una figura di ragazzo nerd che si isola nella sua stanza a sviluppare competenze spesso considerate inutili se non da una cerchia ristretta di persone. Qui siamo di fronte a forme di apprendimento guidate da un gruppo di pari, orientate da passioni che portano a galvanizzarsi e a stimarsi delle proprie capacità acquisite, a condividerle e costruire una reputazione (online) attorno a queste. Le comunità cui ci si riferisce non sono propriamente quelle degli “amici” in senso stretto ma comprendono coloro i quali condividono uno stesso interesse e che producono attorno a questo competenze specifiche, sia abilità che logiche partecipative profonde. Gli interessi sono molteplici, spesso nascono attorno a prodotti di intrattenimento e generano continue conversazioni in cui ci si impegna dedicando energie e tempo, che portano a lanciarsi in imprese comuni (pensiamo alla comunità dei fansubbers), a costruire comunità di pratiche che possono portare anche a organizzare veri e propri eventi offline (da quelli a difesa dell’acqua pubblica alle sfilate dei cosplayers). Osservare da questo punto di vista i modi dei giovani di stare in società con la Rete offre interessanti spunti per capire una realtà mutata in cui collocare il rapporto con gli adulti. Allora anche il tweet di Holly Holliday – figura di insegnante del serial TV Glee – che elogia uno studente tramite Twitter, può assumere un altro senso.