I giovani italiani non sono internet-dipendenti… ma a rischio di digital divide

I ragazzi passano oggi molto tempo online. Lo sappiamo dai genitori e dagli educatori di questi ragazzi. Definire il “molto tempo” a livello quantitativo dipende dalle esperienze personali che vedono i genitori lamentarsi sempre di più di come Internet sottragga i loro figli alla famiglia. “Non guardiamo più un film assieme.” “Non si riesce più a organizzare un’uscita.” Ed è sottinteso “Sempre attaccati alla Rete!”. Anche i ragazzi più grandi. Cresce di conseguenza anche la preoccupazione che dietro a quel tempo speso sul computer si stia producendo una generazione diInternet addicted, che si stia cioè sviluppando, in molti ragazzi, una forma patologica di dipendenza comportamentale dovuta a un uso eccessivo e distorto del computer e dello stare online. Una recente ricerca Isfol-Asstel “Il divario digitale nel mondo giovanile. Un’indagine campionaria sul rapporto dei giovani italiani con le ICT” sembra scongiurare una visione così patologica dei giovani italiani. Certo esisteranno storie di ragazzi che soffrono di dipendenza (dal video poker ai giochi di ruolo, dalle chat erotiche alla frequentazione morbosa di Facebook…), ma non possiamo fare dell’Internet addiction un discorso generazionale. È soltanto il 53% del campione (il focus è sui ventunenni) a essere un navigatore assiduo mentre il restante 47%- più le ragazze dei ragazzi, più al Sud che al Nord – utilizza il computer in maniera discontinua e sporadica. Il 71,6% si connette una sola volta al giorno (anche se la ricerca non ci dice quanto a lungo). Poiché per capire le forme di dipendenza non basta analizzare quanto tempo si sta in Rete ma dobbiamo capire “cosa” si fa nel “molto tempo”, la ricerca ci racconta che il 90,8% si connette per controllare la posta, mentre l’83,6% cerca materiale per lo studio o per il lavoro. Ne esce, insomma, una realtà in cui i giovani adulti usano la Rete per sfruttarne i servizi e dedicarsi all’informazione più che all’intrattenimento. Questo è uno dei modi di leggere l’indagine, quella più convalidata nei blog e nei quotidiani online. Se da una parte possiamo evitare di cadere in “trappole” ideologiche che ci mostrano i giovani in Rete come una realtà omogenea di semi-addicted, dall’altra dobbiamo confrontarci con quel dato di quasi la metà dei ragazzi (47%) che non si connette quasi mai e con il rischio che alla base vi sia un comportamento che prelude ad un digital divide dei giovani difficile da colmare nel futuro. Gli scarsi utilizzatori hanno motivazioni differenti. Ci sono i distaccati (13,2%) che preferiscono usare poco le ICT anche se le possiedono perché ritengono il valore sociale associato scarso o nullo; gli occasionali, (13,7%) giovani caratterizzati da basso livello di istruzione e lavori che non prevedono l’uso del computer; i basic (20,3%), che pur essendo ben scolarizzati, usano poco il computer e solo per qualche navigazione in rete e per guardare la posta elettronica. Come sintetizza Carlo Botta, curatore della ricerca, “Tra i giovani esiste un divario che abbiamo definito “relativo” – ovvero dipendente da cause strutturali – ma anche un divario che abbiamo definito “assoluto”, determinato cioè da scelte consapevoli da parte di chi, pur avendo le competenze e l’istruzione formale di base che in altri casi favoriscono l’accesso, non ne approfitta perché privo di quegli stimoli culturali che possano supportare una disponibilità per così dire informale per il sapere”. Se il divario “strutturale” può essere affrontato attraverso l’educazione e lo sviluppo di infrastrutture, la vera sfida per la nostra società è come portare i giovani a superare il divario “assoluto”, che dipende da una scarsa cultura del digitale che permea il nostro Paese. 

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