Scuola 2.0 e nativi digitali: la narrazione che vorrei

Parlare di “Scuola 2.0” o di “nativi digitali” mi ha sempre creato qualche perplessità semantica. Conosco adolescenti generazionalmente “nativi” che si muovono meno agilmente online di cinquantenni early adopters e scopro continuamente le resistenze che gli educatori hanno rispetto ad una narrazione di una scuola determinata tecnologicamente. Sono quindi termini utili ma che vanno maneggiati con cura. Soprattutto occorre creare un racconto corretto e condiviso per pensare alle trasformazioni con cui ci dobbiamo confrontare in una società ad alto tasso di comunicazione mediata e di produzione/distribuzione/consumo di oggetti digitali.

Per questo occorre partire da un contesto che metta in relazione le trasformazioni della scuola con persone “nate con la Rete”.

Il rapporto tra crescita della simultaneità delle informazioni e loro selezione ed acquisizione produce un mutamento strutturale nel cervello e nelle dinamiche dell’attenzione (lo spiega bene Frank Schirrmacher). Le conseguenze sulle nostre capacità cognitive le scopriremo evolutivamente ma ci sembrano già essere fortemente presenti nelle nuove generazioni. Ci raccontiamo che i ragazzi faticano a leggere testi lunghi, si distraggono facilmente, agiscono in modo multitasking dedicando pochissima attenzione a moltissimi compiti diversi, non sono capaci di astrazione, ecc.

Quello che è sotto i nostri occhi è che le forme su cui costruiamo l’apprendimento, il paradigma scrittura/lettura per come lo conosciamo, si scontra con abilità cognitive che presiedono ad una intelligenza diversa (per come la tratta George Dyson).

Questo ci porta a rivedere le cose anche in relazione ai molti progetti che stanno emergendo e che mettono in connessione scuola (nel passaggio al digitale) e “nativi”.

Scopriamo allora che l’apprendimento cui aspiriamo è aperto, fatto di condivisione, di personalizzazione dei percorsi dello studente e di integrazione e messa in connessione di contenuti sparsi in Rete con quelli prodotti e presenti nelle aule. E non lo richiede solamente un’evoluzione pedagogica del fare scuola ma la curva dell’attenzione che i nativi digitali stanno acquisendo e il loro modo di intendere l’informazione che cambia qualitativamente, nella trasformazione bio-cognitiva che l’ambiente mediale complesso in cui viviamo sta producendo.

Una prima conseguenza ha a che fare con la sostituzione dell’idea di testo chiuso con una testualità fatta di flussi diversi adatti alle diversità di apprendimento dei singoli e dei gruppi. Questa ad esempio è la narrazione che il progetto Apple di  iBooks Author e la trasformazione della piattaforma universitaria iTunesU sta proponendo. Con i rischi connessi di  chi ha una posizione elitaria e proprietaria– occorre possedere un device Apple sia per leggere che per produrre libri di testo – e  una nuova intermediazione che passa dalla piattaforma iTunes – infatti libri si possono vendere solo su iTunes e il 30%.

Altra conseguenza sarà che il modello dell’apprendimento diventerà  nel futuro sempre più spreadable: contenuti in pillole prodotti da professionisti potranno essere fruiti anche gratuitamente ed inseriti dagli insegnanti nei percorsi didattici, così come dagli studenti. Il progetto di shared education Khan Akademy funziona proponendo questi contenuti e disegnando una vera e propria timeline educativa costruita sui risultati acquisiti e quelli da acquisire. La scuola non è dunque solo dentro le mura degli edifici scolastici, istituzionalmente costruiti, ma si apre al mondo, diviene open, e si meticcia con modi e forme che ridisegnano l’ampiezza delle stanze in cui impariamo e delle connessioni educative che sviluppiamo. Connessioni che integrano soggetti molto diversi tra loro che richiederanno momenti di integrazione.

Avremo anche nuove forme di inclusione di chi non può frequentare, per diversi motivi, come immagina  il Ministero dell’Educazione, Scienza e Tecnologia della Corea del Sud che prepara una nuvola di apprendimento per il 2015 riconfigurando l’intera carriera scolastica attraverso computer, tablet e cellulari.

E così via.

Ma credo che l’elemento essenziale per costruire la nostra narrazione su scuola e nativi passi dal cominciare a raccontare di un ambiente di apprendimento aperto in cui gli spazi personali e sociali fuori dalla scuola, quelli ricchi di interfacce sociali come i social network, i wiki, ecc. stanno costruendo, siano incorporati nelle dinamiche educative e diventino un tema del dibattito pubblico e interno alle classi.

Di queste cose mi piacerebbe discutere alla “conferenza per la scuola dei nativi digitali” in cui mi troverete nei prossimi giorni.

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