La Rete, lo sappiamo, è un luogo adatto per l’engagement dei cittadini. Attorno a pagine Facebook e profili di amministratori pubblici, così come a gruppi di discussione online e forum che nascono per discutere di temi radicati territorialmente, si sviluppa una messa in visibilità di issue ed opinioni, è possibile confrontare e scontrare posizioni, creare presupposti per un “fare concreto” della cosa pubblica. Non solo quella astratta e lontana, la politica nazionale, ma quella radicata nei luoghi in cui viviamo e che sa creare una interessante connessione fra territorio e coscienza civile. In questo senso la Rete è un luogo di elaborazione di un’opinione pubblica connessa in cui la cittadinanza culturale sperimenta una propria riflessività innanzitutto attraverso dinamiche conversazionali. Per questo la partecipazione degli amministratori pubblici alle conversazione diventa uno strumento essenziale sia in termini di marketing politico che di cultura della cittadinanza.
Ma la nostra esperienza è recente e le cattive pratiche possono insegnare più delle buone. Basta guardare nella vita online di tutti i giorni.
Capita così che dei cittadini di Cervia che abitano anche Facebook abbiano cominciato a notare che nelle discussioni sulla città c’erano profili che usavano lo stesso stile di scrittura e commettevano gli stessi errori grammaticali del Presidente del consiglio comunale. Si tratta di profili che ne tessevano le lodi e difendevano le scelte del comune, che ironizzavano sulle critiche e si alleavano nei commenti. La pressione della cittadinanza ha portato all’outing del Presidente che avviene- e non poteva essere altrimenti – su Facebook:
Il rovello che arrovella un gruppo di persone avverse alla giunta, sulla identità di alcuni profili, facilmente riconducibili al sottoscritto per stile letterario, consonanza di opinioni e tifo sfegatato rispetto ad ogni mio commento, sarà presto sciolto, poiché ho deciso di licenziare tutti i miei trolls. Direi che mi sono divertito molto, a fare il faceto, in un mondo di persone serie. Tutti i miei numerosi cloni saranno posti in sonno. Perché è giunta l’ora del redde rationem. A buon intenditor, poche parole
Sì, perché il Presidente non sopportava i continui attacchi su Facebook nelle pagine e nei gruppi dedicati alla discussione con i cittadini, quei territori formali ed informali in cui le conversazioni crescono, pur nelle mille difficoltà del confronto. Così ha pensato di moltiplicare la sua presenza con profili falsi o di parenti per darsi ragione e difendersi o per attaccare gli altri, anche in modi un po’ sopra le righe, come spiega incalzato dal giornalista Alex Giuzio:
Mi sentivo in dovere di rispondere anche con altri profili, per giustificare il mio punto di vista. Tuttavia, io mi limitavo ad alimentare dialoghi tra il serio e il faceto, e mai lanciavo insulti, come invece fanno altri cervesi […]
Accanto a questi c’erano poi altri profili di ragazze (“signorine un po’ spogliate” le definisce la stampa locale riferendosi agli avatar del profilo) e altri personaggi aggressivi che lo appoggiavano: tutti spariti dopo la rilevazione pubblica dell’attività di fakers. Profili che lui non si attribuisce ma che rendono ancora più caotica la vicenda. Si scoprirà poi che anche altri politici locali usavano profili fake (alcuni dei quali attribuiti in prima battuta al Presidente del consiglio comunale).
Un vero e proprio rovesciamento di quanto siamo abituati a vedere ed immaginare: non sono i cittadini a costruire fake dei politici ma i politici a fare fake di cittadini. E un primo caso di fake di massa fatto da un consiglio comunale.
Si tratta di una storia esemplare che racconta di un rapporto ambiguo tra forme di errata consapevolezza e di pura inconsapevolezza dell’abitare la Rete.
C’è l’inconsapevolezza tra privacy online ed esposizione pubblica che porta a legittimare – e ad usare come legittima motivazione – l’uso del profilo di un altro: «Magari può essere occasionalmente capitato che mio figlio sia andato su Facebook poi si sia messo a giocare con la Playstation e io abbia usato il suo profilo mentre lui era lì accanto a me». Come dire: “cosa c’è di male se uso il profilo di mio figlio?”. È un comportamento diffuso tra gli adolescenti che permettono agli amici di usare il proprio account ma è anche uno dei principali rischi segnalati agli adolescenti: quando usi Facebook dal computer di un tuo amico ricordati di sloggarti perché se no lui potrebbe entrare e guardare la tua vita (ad esempio le chat) e scrivere cose al posto tuo offendendo altri o mettendoti nei guai. Ecco, un politico che usa la voce di suo figlio online usandone il profilo per difendere il proprio operato mi sembra che abbia molto a che fare con la violazione della privacy e l’appropriazione dell’identità, con un comportamento che non può essere scambiato per una modalità simpatica ed umoristica. Anche se il sospetto sia che semplicemente il Presidente guardasse cosa si diceva su Facebook dal profilo già aperto senza rendersi conto che avrebbe poi commentato con “la faccia” di qualcun altro (il figlio o la propria impresa commerciale). Un range di inconsapevolezza che va dalla scarsa competenza con il mezzo alla leggerezza nell’uso dello stesso che non può permettersi chi utilizza Facebook da figura pubblica.
C’è poi la consapevolezza dell’essere un troll, anzi molti. Di usare l’accesso ad una molteplicità di profili per irritare ed esacerbare gli animi. Ma poi si finisce per dire che si trattava di un gioco, di facezie. Invece, anche lasciando da parte per un attimo l’uso di profili falsi o non immediatamente riconducibili ad un’identità, si tratta di un comportamento comunicativo preciso teso a provocare e costruire polemiche. Ammettere di essere un troll è qualcosa di profondamente distante da quanto una figura pubblica dovrebbe fare per contribuire a costruire un’arena comunicativa con la cittadinanza.
Ma si tratta di una storia esemplare anche perché racconta gli stessi rischi in cui cade il professionista che non sa gestire tutta la trasparenza ed esposizione pubblica che chi sta online deve imparare a trattare. Come quelli che commentano positivamente il proprio servizio su TripAdvisor decantando lodi ed aggiungendo stelline da profili falsi o che comprano followers falsi per Twitter o che si annidano nei commenti della pagina Facebook della propria impresa litigando con i clienti fingendosi altri clienti. Ma questa è una storia che vi racconto magari una prossima volta.
[la versione completa su TechEconomy]
Questo è un punto che viene, abbastanza incredibilmente, trascurato. La discussione scienza-religione non è avvenuta né avviene mai su un terreno neutro, e ciò anche nel senso che i protagonisti dell’opinione pubblica scientifica sono generalmente non meno cristiani dei loro presunti o meno oppositori, almeno fino al XIX secolo. Non si tratta solo di fare un elenco ben noto di personaggi celebri per la loro fede piuttosto ardente (restando solo all’interno del XIX secolo stesso, e dunque senza andare ad epoche ove la fede cristiana è un dato pressoché indiscusso dello sfondo culturale, si pensi a Mendel, Pasteur, Ampère, Faraday, Maxwell), ma di sottolineare che la rappresentazione in termini di conflitto tra scienza e religione viene irrimediabilmente guastata nel momento della scoperta che i campioni di un campo sono, in realtà, esponenti anche dell’altro.
Actual topic,