Come i social media cambiano il modo di percepire la guerra

L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha creato uno scenario di guerra che ci coinvolge politicamente, economicamente ed emotivamente. È stata definita una “guerra ibrida”, poiché miscela gli elementi convenzionali di una guerra con le forme irregolari, aggiungendo gli elementi della guerra cibernetica associati ad altri metodi di influenza e propaganda (come la diffusione di false informazioni, ecc.). Ma è ibrida anche perché la stiamo vivendo in un contesto mediale ibrido, in cui la circolazione delle informazioni e la costruzione degli immaginari si gioca nei rimandi reciproci fra media di massa e media digitali. La viviamo tra immagini documentali nella prima serata televisiva e meme su Instagram, tra approfondimenti su testate giornalistiche e notizie di prima mano su canali telegram. Ed è proprio questa circolazione ibrida che fa da cartina al tornasole di elementi di propaganda presenti su entrambi i fronti. Che spesso, adescati emotivamente dai nostri canali privilegiati di informazione, fatichiamo a cogliere. Al netto della crudeltà che ogni guerra ha e che questa sta mostrando sulle vite dei civili.

È anche la prima guerra che da europei viviamo in questa diretta emotivamente travolgente, così vicina da tenerla letteralmente nelle nostre mani: quelle che tengono lo smartphone mentre scrolliamo contenuti sui social media.

Sono lontane le immagini virate in verde del bombardamento su Baghdad del 1991, con la Prima Guerra del Golfo che iniziavo con lo “spettacolo” dei traccianti in cielo.

 Primi bombardamenti Usa su Baghdad nel gennaio del 1991

E anche gli hashtag delle Primavere Arabe, che portavano attraverso Twitter per la prima volta alla nostra attenzione occidentale le parole e le immagini “dal basso” delle persone che vivano la rivolta, suonano come un ricordo in cui la fiducia acritica nell’uso di internet per la democrazia si è sciolta nel procedere della Storia reale.

Arab Spring: social media revolution

Oggi viviamo la guerra come una tensione “granulare” e continua, fatta di visione e condivisione di diversi frammenti di contenuti online, meme, pezzi di informazione e disinformazione che vengono agglutinati alle immagini della realtà dalla emotività che viviamo ora dopo ora in relazione alle news. I social media, lo sappiamo, hanno sviluppato ulteriormente la nostra dimensione emotiva sulla realtà. E hanno forgiato un “costume culturale” che ci fa sentire molto più vicini ai fatti e che ci fa immaginare che il nostro “dire”, il nostro postare, conti.

E un caso come quello della guerra è, in questo senso, fortemente irritativo sul piano emotivo: il nostro dire e reagire si trasforma nel postare contenuti, condividerli e produrre reaction sugli stessi. Caricando così ulteriormente di tensione la nostra vita. C’è da chiedersi se non stia producendo l’illusione della comprensione profonda, della partecipazione, del fatto che l’attività sui contenuti sia un attivismo capace di cambiare le sorti del conflitto.

E fino a quando questa tensione attiva durerà? Ci siamo dimenticati molto in fretta del Covid-19 nelle nostre narrazioni online e mediali in questi giorni. Quanto servirà per esaurire emotivamente l’iper-narrazione sulla guerra?

Di questo e altro ho avuto occasione di parlare con Loredana Lipperini in una puntata di Fahrenight su Radio 3, quella di mercoledì 9 marzo 2022. Ve la lascio per l’ascolto in questo link, sono i primi venti minuti. Ne lascio anche una trascrizione (quasi) automatizzata, come traccia per il mio blog.

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