Quando i social network diventano maturi

/Photo by Esther_G

Il fatto che una delle tracce del tema di maturità di quest’anno riguardi i social network è un segnale del fatto che questa realtà si sia sempre più quotidianizzata e normalizzata.

O forse no. Il tema è infatti nell’area “tecnica” il che  – come si dice qui – lascia dubbi sulla liceità di trattare i temi della rete come mutazioni culturali ed antropologiche profonde. O forse dipende solo dal fatto che serve un pretesto per collocare i temi in aree differenti. Ma la nostra è, in fondo, la società della tecnica, in cui la tecnica si fa cultura.

Quello che sembra interessante è però che la scuola osserva i giovani e propone in fondo a loro di raccontarsi. Sì, perché non si tratta di un semplice tema  nel quale parlare di cose che si è studiato o di cui si è letto o più probabilmente di cui si è sentito raccontare nei mass media. Qui si tratta di parlare della propria vita, di quei rapporti mediati ed intimi che li (ci) connettono in pubblico dentro l’ambiente mediale. Si chiede un’operazione riflessiva nella quale raccontare se stessi e un pezzo di mondo che sta cambiando. A partire da quelle esperienze di consumo, informazione o intrattenimento che in Rete si hanno. Una sfida che 1 ragazzo su 3 ha scelto. Forse ci saranno banalità, forse riflessioni profonde, la sfida è interessante, comunque.

I nativi digitali scrivono e i “migranti” o gli estranei del digitale (i “tardivi”) correggono. Forse, se va bene, alcuni di quelli che leggono le tracce sono gli “ibridi”, nati senza la rete ma che hanno imparato ad abitarla. Competenze diverse, dunque, per correggere un tema certamente difficile, perché parla di una mutazione palpabile, percepita ma ancora poco interpretata e vissuta.

A voi che correggete mi rivolgo: non leggete i temi pensandoli come commenti agli stimoli dati, come se dovessero parafrasare il pensiero altrui. Lo dico perché uno degli stimoli è il mio (preso da qui e che potete leggere qui) e so che è il frutto di una riflessione personale ma anche collettiva che si fa nella Rete e nelle accademie, tra pensieri e ricerche…. su di loro, questi nativi, che sono il germe del mutamento.

Leggeteli allora con i loro occhi, leggeteli come “conversazioni dal basso” e misurate le loro idee e competenze, ma senza pregiudizi.

Mario ha lanciato una sfida che mi piacerebbe raccogliere: analizzare con piglio etnografico un campione di questi temi per interpretare come i nativi italiani pensano sé stessi nei social network, per come mettono in narrazione la Rete, per capire come pensano il mutamento e che consapevolezza critica hanno, ecc. E mi piacerebbe farlo assieme a molti dei colleghi che con me condividono il fatto di abitare questo pezzo di Rete e di occuparsi in Italia di social network.

Lancio la sfida quindi al Ministro Mariastella Gelmini e al ministero della pubblica istruzione affinchè collabori a questa ricerca che potrebbe raccontarci un pezzo del futuro a venire.

22 pensieri riguardo “Quando i social network diventano maturi

    1. Giovanni ciao! volevo scriverti ieri per proporti la stessa cosa!!!! Proviamo a formalizzare una richiesta alla Gelmini in questo senso? sarebbe una ricerca fantastica! dai dai dai!

      1. L’idea è quella di fare finire gli esami di maturità e stilare una richiesta alla Gelmini. A nome dei docenti che si associano… intanto ne abbiamo due 🙂

  1. Mi associo alla richiesta al ministro e alla ricerca.
    Tra l’altro l’attacco di questo post mi sembra veramente cruciale. Insomma il riferimento alla riflessività. Magari i tardivi daranno un certo taglio alla lettura dei temi ma magari qualche sprazzo moralista verrà anche dai nativi. Chissà. Sta di fatto che un tema su questo argomento l’hanno dato per cui se ne riconosce la centralità, no?
    Piuttosto che Innamoramento e amore… 🙂

  2. Forse vi sembrerò disfattista ma io e molti altri docenti che nella scuola lavoriamo tutti i giorni a contato coi ragazzi e con tutti i ragazzi, non vedo di buon occhio il prossimo libro/ ricerca basato sulla ricerca a campione sulle risposte dei nostri ragazzi.
    Qualcosa mi dà fastidio.
    Cosa sarà?
    Forse il fatto che noi “leggiamo” sempre con gli occhi dei ragazzi , magari “troppo” con gli occhi dei ragazzi e non solo con gli occhi ma leggiamo anche con tutte le altre nostre facoltà dal “cuore” al “cervello”( e non abbiamo bisogno di farcelo dire ).
    Ecco mi darebbe molto fastidio uno “studio” su ciò che spontaneamente (e mica tanto visto che è un esame ed i ragazzi sono giustamente diffidenti e non si aprono liberamnete in queste circostanze) hanno scritto i ragazzi.
    A me questa proposta sa più che altro di curiosità….

    🙂 comprensibile ovviamente e molto umana, ci sarei cascata anche io.
    La vera ricerca può operarsi solo sulla rete e non sul protocollo. Non ho ancora letto nulla ovviamente (le correzioni devono ancora iniziare) ma vi confesso che non ho la stessa speranza ed entusiasmo che leggo in giro.
    Sono contenta, l’ho già detto, che siano usciti questi temi anche se come al solito si parte dal tetto e non dalle fondamenta, ma siamo fatti così qui in Italia, prima il tetto in modo che lo vedano tutti e poi crescerà il popolo di chi crea le fondamenta.
    E le fondamenta non si creano denigrando chi le deve costruire:) [leggi = docenti che correggono le tracce]
    Comunque avvertitemi di come andrà la richiesta alla Gelmini, sono davvero curiosissima.
    A proposito cosa ha detto quel giurista che Boccia ha interpellato? Ho letto la notizia ma non la risposta…

  3. Secondo me la presunzione dei giornalisi e dei commentatori digitali della prima od ultima ora come quella di ricercatori o di semplioci opinionisti sta solo nel non sapere quali siano i criteri di correzione e nel sopravalutare i contenuti rispetto alle argomentazioni ed ad alte capacità.
    Insomama accecati dall’entusiasmo (condivisibile) dei contenuti non si rendono conto di osservare la scena da un punto di vista troppo vicino e quindi di non riuscire a vedere l’orizzonte.
    Noi docenti siamo tropppo abituati a stare a contatto con gli studenti purtroppo in un ambiente formale certo, ma abbiamo imparato a conoscerli anche in un ambiente informale , magari tentando strade per un apprendimento informale e quindi più libero e forse effiicace e che utilizza nuovi strumenti.
    Alcuni addirittura si sentono talmente importamti da discutere il fatto che questi argomenti siano sttai inseriti in un’aria tecnico-scientifica incasellati proprio lì rivelando una sofferenza di inferiorità e non rendendosi conto che fors edi questi tempi è meglio una casella non del tutto condivisibile MA ESISTENTE almeno.

    Un piccolo avvertimento.

    Se non cercherete la collaborazione dei docenti ed invece cercherete di catalogarli in categorie che appartengono al vostro vissuto mi sa che avete sbagliato strada..ed allontanerete sempre più la possibilità di integrare questi strumenti nell’ordinario percorso dei giovani , nella loro scuola che ancora frequentano e/o nella non-scuola. Chissà forse il cambiamento (anzi l’evoluzione) è più vicino di quanto potremmo immaginare o forse è ancora lontano o forse sta avvenendo adesso e lo si sta accelerando.
    Se la società evolve verso nuove modalità di rapporto presto queste si integreranno anche nei soliti ambiti di business, di accademia ed infine anche nella scuola e forse a quell’epoca non avrà più neanche molto senso chiamarla così ma sarà davvero “education” e chi li prenderà per mano per non farli andare a sbattere?
    La famiglia? Gli amici? La rete? O gli educatori, i formatori, gli insegnanti?
    Sono processi, sistemi evolutivi, curve
    Avete davvero così paura dei professori? Pensate realmente che siano come i vostri stereotipi? Ma uscite qualche volta dalla rete e gurdatevi attorno!
    Sono davvero migliori di molti di questi strani commentatori! Eppure tutti hanno figli, tutti vivono in questo mondo, tutti hanno strumenti critici..o non più?
    I vostri figli digital native presto diventeranno i padri dei virtual native e poi di chissà cos’altro! Teaching arriverà sempre un po’ dopo quando quei figli saranno diventati i nuovi padri Qualcosa continua a non accellerare a non trasformarsi rapidamente ma continua a seguire i ritmi naturali umani ed i tempi umani:))

    1. eleonora, credo che ci sia un fraintendimento di base ed alcune cose da precisare.
      Il fraintendimento credo sia nel fatto che nessuno vuole catalogare professori o studenti ma sfruttando l’occasione degli elaborati poter osservare da vicino linguaggi e temi che emergono, competenze digitali, ecc. Con il limite che non si tratta di dichiarazioni spontanee ma di un tema della maturità. Una ricerca scientifica non produce un libro di denuncia sullo stato disastroso della scuola o degli insegnanti o degli alunni… cerca di attivare una dimensione comprendente a partire dai materiali.
      E non mi aspetto che da lì emerga un atteggiamento di una classe dirigente digitale, così come mi aspetto banalità e altro. Si tratta solo di osservare come di fronte ad una richiesta di riflessività (in qualche modo è così) i ragazzi abbiano risposto.
      Sulla traccia tecnica: io ho scritto proprio così: non mi scandalizza che sia lì dentro. Una casella è una casella: l’importante è che si sia fatto (qualcuno in Rete non concorda, pazienza).

      Sui professori nessun pregiudizio. Solo la perplessità che proviene da un tema che probabilmente produrrà storie e linguaggi specifici e che non può essere letto solo “letterariamente”. Ti faccio un esempio: leggevo in rete un professore che diceva che l’ambiguità di mettere in una traccia tecnica un tema che nelle citazioni era chiaramente sociologico avrebbe spiazzato nei criteri di correzione. Oppure penso a chi deve giudicare senza avere un’idea del campo nel quale ci si sta mettendo.

      Se la scuola superiore si occupasse anche di media literacy sarebbe il posto giusto per fare crescere quelle competenze (anche critiche) che si richiedono per affrontare la nostra vita mediale oggi. Ma abbiamo carenze sulla formazione permanente e sull’aggiornamento di metodi e programmi.

      E’ evidente che la collaborazione può esserci solo in una solidarietà diffusa fra competenze, nelle quali quelle pedagogiche degli insegnanti sono essenziali. E sulla loro vocazione ad essere insegnanti. Non sputo sulla categoria ma le esperienze, anche personali, mi mostrano una condizione sufficientemente disperante.

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