La privacy nei social network è un problema per vecchi. È così che possiamo raccontare in sintesi l’analisi comparativa Forrester Research’s North American Technographics su 2009 e 2010.
Guardando i dati correlati alle coorti generazionali è possibile osservare come all’affermazione ““I’m very concerned about my privacy on social networking sites.” la generazione Y, quella più giovane (18-29 anni), cresca pochissimo nella preoccupazione (dal 29% al 30%) e la generazione X cresce solo dal 30% al 33%. Con gli Younger Boomers (dal 31% al 39%) la preoccupazione sembra salire mentre esplode negli ultra 54enni con Older Boomers dal 32% al 50% e Senior dal 28% al 43%.
Credo che possiamo ricondurre questa crescita essenzialmente a due fattori che rappresentano le due facce della stessa medaglia. Innanzitutto va osservato che il confine pubblico/privato ha per i più giovani una natura più sfumata e diversa da quella della Boom generation, concezione che trova nei siti di social network modi nuovi per essere espressa. E con questo modo di essere privatamente in pubblico dovremo imparare a fare i conti socialmente. I più adulti, poi, abitando la Rete si accorgono di questa crescita di “spudoratezza” online, cioè di un livello di sovraesposizione dei più giovani che ai loro occhi rappresenta una forma di potenziale pericolo rispetto alla riservatezza di vite raccontate in privato.
Penso che in questo caso l’uso delle coorti generazionali possa cogliere un atteggiamento che non sia solo legato all’età come momento di vita. Non credo, quindi, che i giovani siano così oggi perché alla loro età si preoccupano meno del fatto che qualcuno possa tracciare in Rete i loro contenuti mentre quando entreranno nel mondo del lavoro (anche se la gen Y arriva a 29 anni e in America, non in Italia!) avranno paura che nei colloqui gli spiattellino in faccia le foto di laurea in cui erano ubriachi. Credo invece che questo dato possa essere un indicatore del salto generazionale e che una generazione cresciuta condividendo le vite attraverso i social network abbia trovato uno spazio di elaborazione e sperimentazione della privacy in pubblico.
chissà come sarà contenta danah boyd… Ironie a parte un indicatore di questo tipo (che immagino presupponesse una liker a monte per rilevare il grado di preoccupazione/non preoccupazione) mi lascia un po’ perplesso. a) non è facile definire cosa sia la privacy (se fossimo di fronte ad un mutamento del concetto di privacy tra i più giovani le risposte potrebbero essere le stesse); b) Non essere molto preoccupati può anche essere un indicatore di quanto i giovani si sentano sicuri nel maneggiare il nuovo contesto (sicurezza che invece le generazioni successive potrebbero non avere). L’ipotesi generazionale è interessante, perccato però che sia di difficile verificabilità – salvo uno studio logitudinale – .
danah boyd parla di adolescenti qui abbiamo un range 18-29 che mostra scarsa preoccupazione sulla privacy, quindi abbiamo a che fare con giovani adulti e (tutto sommato) adulti. Si tratta, quindi, di una compagine abbastanza eterogenea che mischia esperienze di vita diverse (chi studia, chi lavora, chi mette su famiglia, ecc.).
Concordo invece sul fatto che si tratti di un indicatore debole perché frutto di una ricerca che misura il grado di accordo con un’affermazione vaga. Resta però interessante l’uso di un’ottica generazionale.
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Poi bisognerebbe capire perché e che conseguenze possa avere questo particolare tipo di “elaborazione”. Ci vuole un altro post. 🙂
In effetti c’è da pensarci 🙂
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