Oggi potete leggere su La Repubblica un articolo sull’invecchiamento di Facebook che si fonda sul lavoro di monitoraggio che sta facendo Vincenzo Cosenza. La sintesi è che la fascia 36-45 anni (18%) ha superato in Italia quella 13-18 (17%). Sensibile inversione da verificare nel tempo ma significativa.
Così come “sensibile ma significativa” mi sembra la mutazione che cominciamo ad osservare quando il mondo della cultura e dell’informazione tratta un tema come un sito di social network. Prendete il commento di Michele Serra “Una piazza virtuale ancora da esplorare” che fa da contrappunto all’articolo.
Scrive, ad esempio, Serra:
Ogni commento o illazione su quanto avviene in Rete lascia il tempo che trova […] Recenti esperienze sconsigliano di emettere giudizi, o anche solo di azzardare ipotesi. Come si è molto detto e molto scritto nelle ultime settimane, Internet e i social-network hanno avuto, nel mutamento profondo del clima politico-culturale del Paese, un ruolo determinante. E se nel diciottenne chiuso nella sua cameretta e perennemente assorbito dal suo computer si poteva sospettare l’asociale o l’autistico, si è poi scoperto che era lecito sospettare al contrario, l’agitatore sociale o l’organizzatore politico.
Noi ve lo avevamo detto da un po’. Non c’è un “qui dentro la Rete” distinto in modo assoluto dal “lì fuori nel mondo”. Il fatto che una cosa come un sito di social network sia un fenomeno culturale complesso fa sì che non possa essere letto perennemente come un ambito rivolto solo al puro intrattenimento o alla gestione tardo-pruriginosa di pulsioni fanciullesche di una popolazione che non si ostina a diventare adulta.
Il fatto è che la lettura dei fenomeni emergenti richiede di conoscerli, analizzandoli, partecipando, usando uno sguardo nativo capace di andare oltre il “ne ho sentito parlare”. E invece, come mondo intellettuale pubblico e dell’informazione (sì: parlo di chi ne tratta nei media, in particolare), tranne poche eccezioni, siamo spesso portati a leggerli “normalizzandoli”, utilizzando categorie rassicuranti che li cristallizzino in qualcosa di riconoscibile (l’autismo tecnologico o il nativo digitale) che ci lascerà spiazzati quando poi l’onda di reale che questi fenomeni alimentano diventa percepibile nella quotidianità.
Il rischio è, allora, che fenomeni come la correlazione tra l’attività partecipativa in Rete e l’andamento elettorale e referendario (in particolare nell’engagement dei giovani), se letti dagli intellettuali-esperti di informazione con vocazione alla “stabilizzazione”, producano una nuova tecno-mitologia che, da una parte, sopravvaluta la partecipazione civica online – facendo perdere i contorni di “emergenza” che ha oggi – e, dall’altra, impregna di tecno-determinismo ogni discorso serio sulla Rete.
Dovremo quindi osservare bene il racconto che la mutazione “sensibile ma significativa” sta generando continuando a cercare i fenomeni emergenti in Rete senza lasciarci distrarre da narrazioni consolatorie.