[Immagine di Gianluca Costantini via Political Comics]
Le informazioni sulla protesta dentro la Turchia si alimentano attraverso i media occidentali e un live-tweeting costante da parte dei manifestanti che passa dagli smarthphone, con testi e video che accompagnano le sommosse e le azioni della polizia. Questa l’analisi di Pablo Barberá e Megan Metzger (PhD student aL Politics Department della New York University) che hanno raccolto e analizzato oltre 2 milioni di tweet (contro il milione totale delle rivolte egiziane, per capirci) con gli hashtags legati alla protesta: #direngezipark? (950.000 tweets), #occupygezi (170.000 tweets), #geziparki (50.000 tweet).
Si tratta di una quantità di dati che mostra come ci si trovi di fronte ad un uso principalmente locale (a differenza di quanto avvenuto per l’Iran): quasi il 90% dei tweet geolocalizzati proviene dall’interno della Turchia e il 50% per cento da Istanbul (erano il 30% quelli in lingua egiziana durante #Jan25).
La prevalenza dei tweet in lingua turca mostra la centralità di uno scambio informativo locale, anche se notiamo come nel tempo ci siano picchi in lingua inglese che ci fanno immaginare – oltre all’adesione di una comunità internazionale più allargata – un tentativo di portare le issue al di fuori del proprio Paese per sollecitare l’attenzione dei media internazionali.
Quello che si sta costruendo è un racconto dal basso, informazione crowdsourced, che nasce come risposta al vuoto di copertura da parte dei media nazionali e che aggira l’abbattimento delle reti 3G in molte zone grazie all’apertura della connessione wifi che hanno operato i negozi.
[…] ci sta mostrando di nuovo la Turchia in questi giorni. In Turchia abbiamo già potuto osservare nei giorni di #occupygezi come su Twitter 3 milioni e mezzo di cittadini abbiano parlato al paese (la maggior parte dei tweet […]