Soli ma insieme: quando stare in pubblico e condividere dipende dalle piattaforme

In queste giornate stiamo rivedendo il valore da dare al nostro essere tecnologicamente connessi. Nel confinamento cui siamo costretti ci siamo ritrovati a dover reinterpretare come la rete ci permette di osservare il mondo, a usare il web per lavorare e studiare, a dare valore diverso a quei contatti che senza Internet non potremmo avere.

Non si tratta qui di riprendere visioni cyberottimiste ma di constatare come ricorrere alla rete sia oggi un’esperienza di massa dettata dalla necessità di ricostruire dinamiche di socialità a partire dall’impossibilità di fare incontrare i corpi. Si tratta di un rovesciamento di senso imposto per Decreto che richiede di guardare con nuove lenti il rapporto tra reale e virtuale perché, per parafrasare un noto lavoro di Sherry Turkle, passeremo settimane in cui non saremo insieme (nel virtuale) ma soli (nella realtà) ma piuttosto soli (nelle nostre case) ma insieme (attraverso le esperienze che faremo in rete). Che sia lavoro, apprendimento o intrattenimento culturale. Sì, perché questo bisogno di ricostruire le comunità temporanee impedite dal non poter andare a scuola, al lavoro, al cinema, a teatro, nei musei, ecc. sta producendo moltissime iniziative online che hanno la forma della simulazione dell’esperienza o della partecipazione sincrona ad eventi da vivere in modo delocalizzato.

Siamo così circondati in questi giorni da molti progetti di condivisione: artisti in streaming, social reading, audiobook e fumetti gratuiti…

In questo momento di difficoltà rendere centrale il valore d’uso della merce-cultura significa riaffermare il valore simbolico della condivisione.
Farlo dentro piattaforme proprietarie fa parte invece di quelle contraddizioni che in questi giorni saltano più all’occhio.

Il nostro dipendere da chi ha progettato a fini di mercato i modi di interagire attraverso il digitale – rendendoli adatti alla datificazione – racconta di come abbiamo delegato all’impresa un modo di stare in pubblico, di stare assieme, di fare comunità. Quando tutto sarà passato mi piacerebbe ci ricordassimo di come questo bisogno ci appartenga e immaginassimo modi diversi di essere proprietari dei modi di stare assieme.

Ne parlo su Doppiozero.

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