Chiamato in causa da Luca Conti in merito ad un articolo “Vai in internet e trovi il reality-show dei poveri” di Paolo Martini, provo a dire perché mi trova in disaccordo riassumendo i termini della questione.
Martini sostiene nella rubrica “I Telepatici” su La Stampa di mercoledì 8 agosto che
La Rete sia divenuta solo il proscenio per esibizionisti e guardoni d’ogni sorta, e il vero paradosso è che questo fenomeno va di pari passo con l’affermazione di Internet a scapito della Tv, che tutte le ultime ricerche dimostrano […] Abbiamo aperto al massimo la “finestra sul mondo”, ma non per guardare fuori bensì per farci vedere. Spesso e volentieri al peggio. […] il “reality show” come supergenere delle comunicazioni di massa.
Per sostenere questa tesi utilizza le analisi del sociologo Pascal Lardellier, o forse la sintesi di questa sua intervista, dove alla domanda della giornalista:“ Cosa le ispira l’esplosione dei blog ?” risponde: “In un certo senso è il reality show dei miserabili. Milioni di persone mettono in linea la loro piatta vita che non interessa nessuno. Siamo passati dall’esibizionismo in tv a quello su Internet”.
Altro puntello del suo corsivo è l’ultimo lavoro dell’antropologo La Cecla, la cui tesi centrale è che i media sono surrogati di presenza (anche se, avendo letto il libro, credo che la posizione dell’autore non sia sovrapponibile al “pregiudizio” di Paolo Martini). Per riprenderne la quarta di copertina i surrogati di presenze sono, “quelle evanescenti parzialità che i media veicolano nella nostra vita di tutti i giorni come sostituti di una presenza reale delle cose e del mondo. Telefono, radio, cinema, televisione e internet postulano infatti una fede piuttosto singolare: quella che dall’altra parte del ricevitore o dello schermo ci sia “qualcuno”, una presenza di cui non possiamo dubitare anche se non è con noi in carne e ossa, ma è solo evocata e riflessa.” Sulla concezione “animista” dei media mi fermo e dissento.
Provo sinteticamente a fare il quadro dal mio punto di vista.
1. I media sono un ambiente, un territorio che consente alle forme dell’identità di trovare un luogo di costruzione ed espressione e alle forme sociali dell’individuo di realizzarsi. Non sono una “finestra sul mondo” ma sono un mondo. Sono un luogo “autentico” dell’esperienza contemporanea (che comprende la relazione con l’immateriale).
La rete, in tal senso, può essere considerata sì uno spazio sociale mediato ma ancora di più un territorio reale di produzione di relazioni sociali, di condivisione di vissuti, di costruzione connettiva di significati…
2. La rete, attraverso in particolare i blog, i social media come MySpace e Facebook, le forme video espressive ed identitarie che passano per YouTube googleVideo ecc. è un luogo di sovraesposizione individuale di massa. La distinzione tra spazio pubblico e privato, in particolare per i giovani (basta leggersi alcune belle analisi di Danah Boyd) è mutata. Così come l’attenzione per l’osservazione della propria vita/identità attraverso l’osservazione altrui: commenti nel “The Wall” di facebook, auto ed etero-osservazione via gruppo di Twitter, video di risposta su YouTube, commenti ai tuoi post, ecc.
3. È innegabile che il rapporto tra tv e forme video della rete sia diventato molto complesso e che ci troviamo per la prima volta di fronte ad un’inversione di tendenza, in particolare fra i giovani che possiamo, banalizzando, sintetizzare così: più YouTube e meno tv generalista. Se vogliamo essere meno banali possiamo considerare la nuova relazione tra produzione/consumo video che mette al centro le capacità creative e performative di una generazione che è cresciuta con i linguaggi neomediali (a cavallo della parte medio-terminale della generazione X e fin dentro quella Y) e che se ne è appropriata attraverso la capacità di farsi media.
Ci troviamo così di fronte ad un ambiente sociale ad alta intensità mediale in cui i rapporti sociali e le forme di esperienza assumono piani di profondità differenti, convergenti ed integrati. Le grammatiche e le logiche mediali del moderno che hanno dato forma ai media di massa diventano strumenti obsoleti per osservare il nuovo ambiente mediale.
Così assumere il reality show a paradigma della comunicazione contemporanea risulta francamente ridicolo.
Ciò non toglie che le forme che oggi anche i prodotti mainstream di massa assumono risentono delle logiche e dei paradigmi introddoti dal nuovo ambiente mediale: connettività, ubiquità, interattività e ricombinazione (convergenza) punteggiano la filiera produzione/diffusione/consumo.
Sul lato della sovraesposizione dei vissuti, in tutte le loro miserie, posso dire che la Rete sul piano relazionale ci mette in contatto con una proliferazione di sceneggiature di vite immaginate e vissute, con le alterità e le identificazioni, con il piacere ed il disgusto, con il fascino dell’esperienza dell’altro e dell’altrove. Esperienza dell’esperienza dell’altro, in questa sta l’autenticità, anche di vissuti finzionali.
Se i blogger come si sostiene nell’articolo sono miserabili, sono Les miserables di V. Hugo, sono il racconto delle forme contemporanee nei modi della contemporaneità. Forme banali ed estreme. Luci ed ombre. Quotidianità ed anomalie.
Sono le conversazioni sotterranee che però si fanno pubbliche, sono i nuovi modi della socialità di massa che diventano visibili, sono segnali vibranti di una condizione che sta mutando, sono le forme che l’identità assume nell’epoca del farsi media.
Se poi vogliamo giocare ancora in modo metaforico con il romanzo, ricordiamo che i veri protagonisti sono le forme di un periodo in transizione, come dice Hugo: “ la vita, la sventura, l’isolamento, l’abbandono, la povertà sono i campi di battaglia che hanno i loro eori: eroi oscuri, ignorati, talvolta più grandi degli eroi illustri”.
La concezione animista dei media è però un aspetto interessante anche se capisco il tuo dissentire. Più che altro, credo, apre a possibili derive pericolose. In compenso però è affascinante se ripresa in chiave di archeologia mediale (segnalo questo testo: http://tinyurl.com/289lq4 ) e può essere conciliata abbastanza bene con il concetto di rimediazione. Che ce ne facciamo poi? Non saprei bene, ma resta interessante e sullo sfondo da indagare il rapporto tra le semantiche e l’evoluzione tecnologica dei media della diffusione, in particolare le semantiche relative ai media stessi che, necessariamente, sono perennemente in ritardo. Comunichiamo e costruiamo mondi con cose che non possiamo descrivere.
Dubito che questo commento brilli per chiarezza, ma pazienza.
è proprio da quel post su pandemia che sono arrivato su questo blog.
ora ho avuto la risposta che aspettavo 🙂
@luca dietro il commento “criptico” credo di cogliere – tra le altre cose – la necessità di analizzare come i media vengono trattati e con quali linguaggi. In questo senso l’articolo di Martini potrà fra qualche anno rientrare fra quelli utili per capire come il mondo mainstream ha osservato la Rete e la sua superficie 😉
@hertz benvenuto e felice che questa risposta sia nelle tue “corde”
si, certo. Anche se la sensazione ed il dubbio sono più inquietanti. Il punto non è solo come il mondo mainstream (è più mainstream la stampa o i media-mondo ?) ha osservato/descritto la rete. Il punto è come, de facto, è possibile osservarla/descriverla. Forse chi c’è dentro gode di quel processo di “sedimentazione accelerata delle semantiche” di cui si parlava qualche tempo fa ma comunque agisce/osserva “con ritardo” rispetto alla reale portata della mutazione. Al solito entra qui in gioco il rapporto con le pratiche: tecnologie e pratiche stanno a monte, le semantiche per raccontarle si depositano, più o meno lentamente, a valle.
E noi cerchiamo sempre di pagaiare controcorrente.
@luca se questo post pagaia controcorrente i pezzi di molto giornalismo sulla mutazione dei new media sono sull’orlo di una cascata 😉
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i bloggers sarano anche dei misebili, ma almeno hanno la possibilità di scegliersi l´un l´altro, senza dover subire quanto imposto dalla casta formata da chi accesso ai media. Ne è una prova il fatto che molti blog consigliati dai giornali marciscono
@Oscar concordo sul fatto che i blog hanno una natura relazionale e connettiva che non aderisce necessariamente alle logiche dei media di massa. E’ particolarmente esemplificativo quanto dici a proposito di blog segnalati da media mainstream.