L’adagio con cui Mark Zuckerberg ha aperto gli anni ’10 risuona ancora nei nostri comportamenti:
Ormai gli utenti condividono senza problemi le informazioni personali online. Le norme sociali cambiano nel tempo. E così è anche per la privacy
Forse quella del CEO di Facebook è una dichiarazione prodotta in un mix fra osservazione diretta di come disperdiamo online informazioni in tempo reale sulle nostre vite (gusti, comportamenti, relazioni, ecc.) e un desiderio che è un obiettivo d’impresa: collocarsi all’interno del mercato dei metadati.
Abbiamo infatti visto nell’ultimo anno emergere con forza la buzzword “Big Data” associata all’idea di tradurre in utile d’impresa l’analisi – magari in tempo reale – di tutta quella mole di dati che rilasciamo tra geolocalizzazioni e like, tra le sollecitazioni di recensioni e post in cui diffondiamo il culto dei brand.
Abbiamo però anche assistito, contemporaneamente, al grido “il Re (della privacy) è nudo” lanciato da Edward Snowden che, attraverso l’emergere mediale del Datagate, ha mostrato come la sorveglianza di massa sia una pratica governativa e non solo di mercato.
Ci troviamo così dentro questa tensione tra concedersi alle logiche funzionali al mercato disseminando i nostri dati sociali e comportamentali – perché “le norme sociali cambiano nel tempo” – e la crescita di un’attenzione per la dataveillance.
La giornata dell’11 febbraio del The day we fight back contro la sorveglianza di massa sta a ricordarci di questa tensione e della necessità di affrontare più criticamente il cambiamento sociale. L’idea è di non confondere un punto di non ritorno come la nostra presenza costante in rete e nei social network con un principio di naturalezza circa la dispersione dei dati personali.
La battaglia è culturale. In futuro dovremo intraprendere sempre di più la via della curation, imparando come gli strumenti che utilizziamo e gli ambienti digitali in cui operiamo trattano come informazioni i contenuti prodotti e i comportamenti che teniamo. Occorrerà fare crescere in modo più complesso la cultura della privacy in una realtà connessa dove trasparenza e visibilità rappresentano di certo un valore. Occorrerà sviluppare maggiore consapevolezza degli utenti connessi e delle possibilità di gestione circa: il diritto a controllare quanto su di sé viene comunicato, il diritto all’inviolabilità personale e il diritto di definire e gestire divulgazione ed occultamento delle informazioni personali, decidendo cosa condividere e quando.
Occorrerà cominciare a trattare la privacy come un diritto umano fondamentale, come ci ricorda il manifesto contenente gli International Principles on the Application of Human Rights to Communications Surveillance perché:
Privacy is a fundamental human right, and is central to the maintenance of democratic societies. It is essential to human dignity and it reinforces other rights, such as freedom of expression and information, and freedom of association, and is recognised under international human rights law.
Un’analisi molto interessante e condivisibile che mostra le diverse variabili in gioco nello sviluppo del web.