Avatar: una rivoluzione inavvertita (parte 1)

Un punto di vista dal quale possiamo osservare Avatar ha a che fare con la necessità di mostrare gli effetti delle nuove immagini tecnologiche sulle forme e le esperienze della cultura visiva di massa. Il che impone di analizzare la convergenza fra le nuove immagini tecnologiche digitalmente prodotte, lo sviluppo di prodotti mediali e le pratiche di fruizione connesse: video cultura digitale ed estetiche di superficie.

Il contesto contemporaneo nel quale ci muoviamo è caratterizzato da un duplice percorso costituito dalle possibilità aperte dal digitale e che si muove fra le forme di produzione di immagini artificiali e le pratiche di ricezione delle stesse. Da una parte abbiamo, quindi, una elevata capacità di elaborazione delle immagini espressa attraverso tecniche di produzione e manipolazione. Condizione che dà luogo ad una realtà oppositiva, che si delinea fra una tensione alla verosimiglianza ai limiti dell’iperrealismo e una attitudine “decorativa” che sta alla base delle forme spettacolari del cinema, degli spot, dei video musicali. Dall’altra ci troviamo dinnanzi alla generazione di spazi di fruizione resi esperienziali attraverso una crescita della partecipazione sensoriale. Come nei vissuti emotivi ed interattivi con una pluralità di immagini sempre più tridimensionali presenti sugli schermi, nel cinema dinamico di parchi divertimento o negli ambienti immersivi generati dalle immagini come quelli dei videogiochi e dei giochi di ruolo di massa online.

La generazione di una crescita di artificializzazione delle immagini e di uno sganciamento dalla referenzialità diviene così oggi sempre più compatibile con un’autenticità dell’esperienza delle stesse attraverso i media.

Avatar è, in questo senso, la promessa di un iperrealismo cinematografico capace di creare un forte impatto emotivo-sensoriale, capace di penetrare sensorialmente l’immaginario. Perché è stato pensato così. E lo è stato in maniera così forte che James Cameron ha creato le condizioni perché tutto questo si avverasse.

Ovviamente è concettualmente sbagliato ridurre l’innovazione alla figura di una sola persona, perché gli effetti evolutivi sono sempre di sistema. Ma credo che si possa leggere l’evoluzione della forma-cinema, come medium dell’intrattenimento e della costruzione dell’immaginario, utilizzando la storia di Cameron/Avatar come “attrattore strano”.

Dalla progettazione affidata a Vince Pace (guardate i lavori in diversi campi dell’intrattenimento della sua azienda PACE) e sviluppata da Sony di una videocamera di ripresa che permettesse una visione 3D prolungata senza (meglio: con bassi) effetti di disturbo per lo spettatore (Fusion 3D Camera System) ad un’azione di lobby per far aumentare le sale con proiezione 3D – prestando la propria camera a colleghi (Rodriguez per Spy Kids 3-D: Game Over) per produrre film 3D di largo consumo in modo da favorire l’offerta e stimolare la domanda e promuovendo culturalmente il 3D come sviluppo futuro dell’intrattenimento di sala. Come scrive Joshua Davis infatti Cameron:

si rivolge direttamente ai proprietari delle sale e nel marzo 2005 si presenta alla convention annuale degli esercenti cinematografici americani, dove annuncia che il mondo sta per entrare «in una nuova era del cinema». Nel caso questo approccio non funzioni aggiunge un avvertimento più minaccioso, spiegando che chi non provvederà alla conversione al 3D avrà modo di pentirsene. Alla fine di quell’anno solo 79 sale, nell’intero paese, erano in grado di mostrare film in 3D digitale. Ma il messaggio di Cameron raggiunge il bersaglio: tra il 2005 e il 2009 gli schermi per la proiezione della nuova tecnologia sono 3000 in più.

Al di là di ogni contenuto di Avatar. Che in Italia non abbiamo ancora visto – e che qualcuno sembra deciso a non vedere, in polemica con miopi logiche del mercato e con una uscita follemente ritardata (nel mondo 18 dicembre 2009, in Italia 15 gennaio 2010) per dare spazio ai cinepanettoni natalizi.

Perché Avatar prima che contenuto narrativo è la promessa della forma, quella tridimensionale ed immersiva, appunto.

È l’esperienza di Pandora, le cui specie animali e vegetali sono state non solo immaginate ma studiate fino a realizzarne una tassonomia. Come con la richiesta di intervento di Jodie Holt, fisiologa delle piante e direttore del dipartimento di botanica dell’University of California di Riverside, che ha aiutato a fornire spiegazioni scientifiche della forma di comunicazione tra le piante del pianeta e ne ha realizzato una tassonomia:

Later, in the fall of 2008, Jon Landau called to ask if I would be interested in writing descriptions of the plants, including fabricating Latin names, to be included in the games and book that were planned. The result was a set of Pandorapedia entries, completed in early 2009. […] These include taxonomy (Latin names I made up using the correct rules of nomenclature), a description of each plant, and information about ecology and ethnobotany. Since some of the plants looked like Earth plants, while others were quite fantastic, and others resembled each other, I started by grouping them by somewhat similar appearance to develop a crude taxonomy. For plants that resembled Earth plants, I gave them similar names, such as Pseudocycas altissima for a plant that looks like a tall Earth cycad. Others I named for their appearance, such as Obesus rotundus for the puffball tree.

Attenzione alla forma, quindi, laddove le immagini digitali frutto dell’immaginazione trovano però una coerenza estrema nel farsi mondo, visualizzabile ed esplorabile. Delle possibilità esplorative di Pandora da parte degli utenti parlerò nei prossimi giorni analizzando i videogiochi. Intanto troviamo possiamo vedere un “racconto” sintetico del mondo su YouTube

[YouTube=http://www.youtube.com/watch?v=GBGDmin_38E&feature=player_embedded#]

o guardare online una Pandorapedia, con voci che verranno man mano aggiunte, che aiuterà a districarsi tra Banshee montani e Pseudopenthes Coralis ( pianta che mangia gli insetti volgarmente chiamata Dakteron), o possiamo comprare su Amazon il libro Avatar: A Confidential Report on the Biological and Social History of Pandora che racconta la storia sociale e biologica del mondo (il capitolo 4 raccoglie la tassonomia scritta da Jodie Holt).

Questa “forma” però è in grado di veicolare anche “contenuti”: il messaggio ambientalista è ad esempio molto forte e, come si può leggere in molti commenti nei due forum (avatar-forums e naviblue) nati attorno al film, è capace di colpire nel segno cambiando il tuo modo di vedere le cose:

On the more extreme side I’ve pretty much already canceled a trip years in the making to go to a little island in the Caribbean with the money from my next tour overseas and am already planning a trip to a tropical rain forest, I’m in the research stages now. My own little way of coping, a little sad yes, but I simply don’t care, the world of Avatar has changed my mind to some things. I used to think beauty was laying on a beach watching girls in bikinis (although still pretty nice), now I want to see more of my world and the beauty within it. I consider it a blessing.

È l’impatto emotivo della Pandora iperrealista nella quale veniamo tridimensionalmente immersi, da un film pensato concettualmente per essere 3D (contrariamente a quanto scrive la pubblicità per me è “anche 2D” e non “anche 3D”). La relazione fra le immagini digitali immersive e l’intrattenimento di massa risponde ad un nuovo bisogno di audiovisivo, in una realtà nella quale la frequentazione connettiva delle immagini in Rete presiede alla produzione di un tecno-immaginario che evolve.

Credo che un caso come questo mostri una particolare connessione tra la narrazione e l’estetica tridimensionale capace di raccontare le profondità dell’estetica di superficie del digitale.

9 pensieri riguardo “Avatar: una rivoluzione inavvertita (parte 1)

  1. visto ieri sera in 3D, qui a Londra.

    penso che per quanto riguarda l’invenzione del nuovo mondo si potesse fare di più. le specie animali inventate saranno una decina, e ritornano identiche alla fine del film. non so, forse nel videogame è diverso.

    e poi, il 3D è fantastico e immersivo, ma la qualità non è paragonabile con quella di un DVD HD. persino in un video qualità YouTube si notano più dettagli che nel 3D.

    per il resto, è veramente un film spettacolare, uno spartiacque nell’industria cinematrografica.

    saluti,
    _Valentino

    1. @valentino: con questo film hanno gettato le basi e pensato anche (tassonomicamente) cose che non si sono viste.
      Sulla qualità (non avendolo qui in Italia potuto vedere) non entro, ma il 3D non è solo qualitativamente rilevante: è l’esperienza di immersività che riesce ad infondere.

  2. Partendo da: “La generazione di una crescita di artificializzazione delle immagini…” tutte le immagini sono artificiali.
    Anche quelle analogiche.
    Semmai possiamo parlare di immagini “tradizionali” o “techniche” se vista da un punto di vista della struttura che trasporta/contiene l’immagine. Le immagini tradizionali sono quelle non rappresentabili in una stringa lunga quanto vuoi ma che continua a lavorare all’interno di una “prossimità”, riavvicinando l’immagine alla scrittura. (Una stampa fotografica analogica è una visione, uno spazio continuo che puoi attraversare in lungo e in largo. Quella digitale è il risultato di una immaginazione frutto di un pensiero organizzato che si traduce in una computazione di concetti; si rigenera secondo una linea che attraversa lo schermo e ne rigenera l’immagine e in ogni punto-pixel è la risposta a quella computazione).

    La differenza, per banalizzare, allora sta più in questo: le immagini tradizionali sono visioni del mondo che viviamo. Le immagini digitali sono il risultato di una concettualizzazione del mondo.

    1. infatti il contesto è quello che descrivo come “le nuove immagini tecnologiche digitalmente prodotte”. Poi per me resta il fatto che lo statuto di artificialità è concettualmente diverso.

  3. c’è da dire che Cameron è un genio del marketing. Sicuramente Avatar supererà tutti i record di incasso, anche quello di Titanic (per quanto possano avere senso mettere a confronto incassi quando il prezzo dei biglietti aumenta sempre e i record saranno sempre battuti). Adesso si parla addirittura di 2 sequel (ma una volta non si decideva film per film, ora si decide 2 per 2?). Se il film fosse stato un flop, cosa si sarebbe detto? che il 3D non aveva senso o che il cinema era inevitabilmente destinato al declino?? 🙂

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