La storia è semplice, esemplificativa di tante storie, di quelle che capitano agli adolescenti oggi. Storie che rimangono talvolta in astratto, lette su pagine di giornale che possono titolare “Ragazze che limonano su Facebook”. Che hanno la concretezza di essere però storie vicine a noi, alle esperienze che facciamo e che se approfondiamo con minore distacco diventano le storie di figli che abbiamo o che avremo, di nipoti e cugini, di quegli adolescenti che vivono le loro vite connesse. E lo fanno in una società che ha determinate attese su di loro, economiche e culturali. Questa è la storia non solo di due ragazze ma della società che sta attorno a loro, fatta di altri ragazzi e di genitori, di educatori e conoscenti; ma anche di politica ed istituzioni, di media ed imprese che hanno costruito un terreno culturale e politico in cui gli adolescenti sono chiamati a vivere. Ve la racconto per come mi è stata raccontata ma distorcendo particolari, perché quello che interessa è che questa storia è una nostra Storia.
Due ragazzine di dodici anni si ritrovano il sabato sera a casa di un amico e si fanno riprendere da lui con il cellulare in primo piano mentre per un minuto si sono date un bacio intenso e profondo. Un video da condividere subito attraverso WhatsApp ai diversi gruppi cui appartengono, che ha portato in brevissimo ad uno sharing selvaggio negli schermi di adolescenti amici ed amici di amici, di quell’età, più grandi e più piccoli, nel sistema di reti scolastico-amicali-di tempo libero che ognuno di loro ha.
Video che provoca, selfie estremo, una strategia da micro-fama per aumentare la propria popolarità fra i coetanei, per far aumentare le richieste di friendship alla propria pagina Facebook, per far pensare: “sveglie quelle due”.
La strategia da micro-fama possiamo vederla come il segno del degrado morale dei tempi, di questi giovani dediti solo all’auto celebrazione, egoisti e particolarmente annoiati. Oppure possiamo domandarci se non venga richiesto loro di funzionare così, secondo un’economia della celebrità. Se non finiscono per fare affidamento solo su se stessi; fare di se stessi un brand e contare su quello. E’ una celebrità micro perché ha a che fare con la popolarità nelle reti sociali ed attraverso queste. Nessuna visibilità da grande schermo o in alcuni ambiti della propria vita (lo sport, la scuola, la musica…). Non per tutti , almeno, se non per eccezioni o per la vocazione al reality show che è il genere televisivo che meglio interpreta l’economia della celebrità.
Ma il resto, la quotidianità, è fatta piuttosto dalla ricerca strategica di una visibilità più capillare, dispersa nei rivoli dello stream, su piattaforme di connessione sempre più diverse. Non solo canali (Facebook, Twitter, Ask.fm – “Quanto ti piaccio da 1 a 10?”) ma anche cerchie connesse, come quelle di WhatsApp.
Un modo di sentirsi famoso più che lo stato oggettivo della fama. Una percezione del sé più che una condizione di sé. Dal “nel futuro tutti saremo famosi per quindici minuti” di Andy Warhol al “oggi siamo tutti famosi per quindici persone” e da lì propaghiamo nelle cerchie sociali.
Visto così il loro egocentrismo è il prodotto riflesso di grandi cambiamenti economici e sociali. E forse non abbiamo saputo costruire una narrazione per gli adolescenti che potesse aiutarli ad interpretare il presente. Se non come self branding e micro ambizioni.
Ma non sempre le strategie da micro-fama sono controllabili negli effetti.
Di rete in rete era come se le due ragazze “limonassero” in tantissime case della zona, dentro bar e spogliatoi, nelle camerette e nelle aule di scuola. Tra sguardi che leggono come scherzo quel bacio, altri maliziosi, altri che pensano “che sceme”, altri turbati.
Una bimba più piccola lo riceve a causa della logica di resharing tra reti e riposta un video di due cagnolini che si leccano il muso, forse per ridare senso a qualcosa che non può ancora e non vuole capire.
Un ragazzo lo posta sul proprio profilo Facebook attirando commenti. Troppi. Finisce per cancellarlo.
Se ne parla a scuola e nelle famiglie. Diventa in pochi giorni un caso. Che viene trattato ricercando colpevoli e vittime; tra litigi e rimbalzarsi di accuse delle famiglie delle protagoniste, l’intervento degli educatori preoccupati delle ricadute sugli altri ragazzi, una certa attenzione morbosa dei media locali e i pettegolezzi delle persone.
Quello che resterà sarà una denuncia alla polizia postale del ragazzo che ha postato il video su Facebook, colpevole di avere dato visibilità pubblica (sic!) a quello che era gia “pubblico” ma in reti meno trasparenti su WhatsApp e secondo un’accezione di essere in pubblico che non abbiamo ancora capito bene.
E resta la nostra inadeguatezza, come genitori, educatori, società nell’affrontare sia culturalmente che giuridicamente casi come questi. E nel non fare i conti con l’economia della celebrità, con una funzionalizzazione degli adolescenti a logiche e linguaggi più adatti al posto che stiamo riservando loro nella società.
[…] Alcuni commettono l’errore di pensare che realtà virtuale e realtà reale siano completamente distinte. La differenza tra le due forme di realtà non è così netta. La realtà virtuale può avere degli effetti realissimi. […]
Lo studio, condotto su adolescenti e bambini in età d’apprendimento (11-14 anni), ha scoperto che Facebook potenzia la memoria, in quanto costituisce un buon allenamento per la mente, con le sue applicazioni su cui esercitarsi e con cui giocare, mentre Twitter e Youtube sono dannosi, perché con il loro flusso continuo di aggiornamenti, fatti di poche e brevi frasi, non consentono al cervello umano di elaborare adeguatamente le informazioni. Utili e salutari per la memoria sono risultati anche i videogame di guerra, dove per vincere è necessaria un’alta dose di concentrazione e strategia, e il gioco del sudoku. Del resto, i mezzi di comunicazione che implicano la passività del fruitore e l’eccessiva velocità delle informazioni, in primis la televisione, sono da sempre al centro di ricerche e polemiche. Cosa ne pensate? Favorevoli o contrari?