Dopo amministrative e referendum i media mainstream gridano al successo del popolo di Internet. Dentro il web si dice che non ci si deve entusiasmare. Eppure qualcosa è successo e, credo, che niente sarà più come prima.
È da oggi che il web sociale è entrato nella cultura italiana.
Ho provato a cominciare a spiegare i miei “perché” su Apogeonline nel pezzo Lo scarto culturale che s’inizia a percepire.
Alcune cose ci tengo a ribadirle qui, nella mia casa-blog, come primo tassello per la riflessione specificando un po’ meglio alcuni punti.
1. Sappiamo che una delle caratteristiche della cultura digitale è quella di promuove una dimensione partecipativa. In una prima fase delle forme di “appropriazione” del mezzo tecnologico (social network, blog… ) e di “articolazione” dei discorsi attraverso il mezzo, la partecipazione è stata giocata solo sul versante dell’inclusione: stare in Rete voleva dire principalmente essere always on, continuamente disponibili alla comunicazione tout court. Questo dato vale in particolare per i giovani, che incorporano la Rete nelle loro pratiche quotidiane come strumento di stabilizzazione delle relazioni sociali. In questa prima fase non abbiamo assistito ad una traduzione delle pratiche in forme di cittadinanza attiva se non come pura eccezione, come accidentalità nella gestione delle relazioni sociali attraverso, ad esempio, i social network.
Credo che le esperienze degli ultimi anni in Italia, anche a partire dal quel fenomeno unico che è stato in Popolo Viola (prendetelo come fenomeno in sé e per sé, senza per ora curarci del suo lato “politico”) con la sua capacità di mostrare la possibilità di ideazione ed auto-organizzazione attraverso la Rete (in particolare con la costituzione di gruppi su Facebook), ci abbiano insegnato che la strada della cittadinanza culturale può passare anche da questo territorio.
In particolare colpisce la mutazione, rispetto alla serie storica, della partecipazione dei giovani ai referendum:
A trainare il quorum sono stati i giovani, che si sono recati alle urne in percentuale maggiore rispetto a tutte le altre fasce d’età messe insieme.
Oltre il 64%, come si vede, la percentuale degli under-24 che sono andati alle urne: un risultato davvero importante e che stacca di 10 punti quasi la percentuale media sulla quale si è assestato il dato finale dell’affluenza, che partendo dal picco dei giovani declina fino al relativamente scarso interesse degli ultra 65enni sui temi referendari.
Non sono in grado di mostrare una correlazione scientifica fra partecipazione referendaria dei giovani e attività online ma credo che possiamo utilizzare questo dato come una “spia” da monitorare. La mia sensazione è che ci troviamo di fronte ad uno shifting significativo: siamo probabilmente di fronte al passaggio dall’incorporazione della Rete come modo per essere inclusi nella comunicazione a un utilizzo che ha a che fare con forme di engagement adatte alla costruzione di una cittadinanza attiva e partecipe della cosa pubblica.
2. La Rete sta funzionando da elemento nuovo, nel panorama mediale, di stabilizzazione delle aspettative sulla realtà.
Provo a spiegarmi.
È vero, siamo ancora ancorati ad un mondo dell’informazione che fruiamo attraverso i media generalisti:
Per il 58 per cento dei 25 milioni di italiani che usano Internet almeno una volta alla settimana, la tv, le radio e i quotidiani restano la prima fonte d’informazione
Ma cresce un comportamento di approfondimento ancorato al web: “ il 63 per cento si affida ai motori di ricerca e a siti e blog d’informazione”. Ancora troppo generico, considerato che i media generalisti hanno le loro basi in Rete, dunque stiamo parlando spesso della stessa piattaforma informativa alla quale si affiancano tasselli di novità.
Eppure credo che il modo che abbiamo di filtrare questa informazione online e di percepirla come materia viva, passi sempre di più dalla stretta relazione che si crea tra generazioni di contenuti da parte degli utenti e relazioni sociali. Sempre più spesso il seguire aggiornamenti sulle news dipende dal frequentare un flusso di relazioni online (Twitter? Facebook?…) che segnalano, commentano, condividono, taggano… Il nostro modo di soddisfare il nostro fabbisogno informativo quotidiano vede accanto a strutture che selezionano per noi (testate online, portali, ecc.) la presenza della rete di friend. Come dire: la fruizione dell’informazione trova un contesto mutato in cui radicarsi. Per fare un esempio banale, è come quando un amico ci passa un giornale e ci dice “leggiti questa notizia e dimmi se non ti sembra che questo politico sia uscito di testa”, che è un po’ diverso dalla fruizione solitaria delle news. In sintesi: ci stiamo abituando al consumo “partecipato” dell’informazione e a un contesto di fruizione che contiene la dimensione emotiva delle relazioni sociali. Così capita sempre più di farsi un’idea in Rete di cosa stia accadendo e di andare a cercare in rete quelle risposte che non troviamo subito sui media generalisti (“Ma perché Concita ha lasciato la direzione dell’Unità? Cosa c’è sotto”).
3. La Rete ci sta abituando ad un coinvolgimento “intimo” e diretto in pubblico, ridefinendo così anche il nostro modo di pensare la sfera pubblica e le sue forme di rappresentazione della società e dei suoi temi.
Siamo sovra-esposti, e questa diventa sempre più una modalità “normale” e stabile di risiedere online. Elementi informativi ed elementi emotivi e relazionali si intrecciano rendendo complesso l’ambiente in cui ci muoviamo per sapere, conoscere, dibattere. Il vissuto quotidiano si aggancia spesso a temi di interesse generale (i tanti gruppi sull’acqua come bene pubblico “localizzati” ne è un esempio). Detto altrimenti:
Blog e social network cambiano i modi della conversazione e dell’ascolto ed i modi di osservare ed elaborare gli eventi dell’esistenza. Eventi che non sono più fatti strettamente privati ma possono diventare oggetto di comunicazione pubblica. Alla trasparenza dei temi e del sapere esercitati dal modello classico di sfera pubblica (penso ad Habermas) si connette oggi una trasparenza degli effetti sui vissuti, a partire dai vissuti stessi e dalla possibilità di metterli in connessione. Non si tratta più di avere temi in astratto ma di connettere tale astrazione in modo concreto agli individui.
La dimensione informativa Iperlocale si intreccia così alla rete di amici e all’apertura di pubbliche amministrazioni verso i cittadini (avete notato il fiorire di pagine su Facebook create dai comuni? Oppure i molti amministratori – i Sindaci, naturalmente – che si attivano nel creare spazi online di dibattito con i cittadini?).
Insomma: le sfere pubbliche si moltiplicano e si (auto)rappresentano in molti modi nuovi e complessi che dobbiamo cominciare ad esplorare.
Condivido il senso generale del post. Interessante l’analisi della partecipazione giovanile: finalmente ragionaiamo su dati “oggettivi”.
Epprò al proposito osservo che la partecipazione dei 18-24 è sì molto superiore alla media ma non si discosta significativamente dal tasso di partecipazione dei 25-64enni. Dunque quel 42% di affluenza degli ultra 65enni pesa enormemente – e non stupisce, visto il calo demografico. in ogni caso, la partecipazione segnala un ritorno di interesse per la politica in una generazione che sembrava averla persa ed è piuttosto agevole determinarne il vettore nella partecipazione al social networking. Secondo l’Istat, l’87,6% degli appartenenti alla medesima fascia di età utilizza Internet e, di questi, il 75,6% utilizza siti di social networking (in assoluto, il 66,5%).
Si potrebbe dire, quindi, che i giovani hanno salvato il referendum, grazie a un rinnovato interesse per la politica, insorto nell’ambito di una più generale partecipazione al social networking (un interesse che, prima dell’emersione dei social network online, i media tradizionali non erano stati in grado di stimolare, a differenza che per le generazioni precedenti). Dunque, facebook & co. sembrano effettivamente porsi come nuovi strumenti di accesso alla sfera pubblica da parte di nuove soggettività (diamo atto a Tursi di averlo argomentato nel suo libro). Qualcosa è certamente cambiato e non si può che salutare questo cambiamento con favore.
Aggiungo un invito alla prudenza nell’entusiasmo (perdonerai il mio “pompierismo”). Quel 60% di ultra65enni che non si è recato a votare al referendum, probabilmente lo farà in occasione di elezioni politiche, mobilitato attraverso i tradizionali mezzi di massa. E, dal momento che gli ultra65enni pesano quasi il triplo dei 18-25enni (20,5% contro 7,2%), il ruolo di Internet in occasioni come quelle potrebbe avere un impatto assai minore sulle dinamiche elettorali.
In tutta sincerità trovo la mossa degli amministratori di apparire sui vari social network un po’ ruffiana, una operazione simpatia politicamente corretta, con risvolti e modalità del mondo economico e commerciale: nessuno screzio e rimozione del dissenso, tutti bravi tutti puliti e corretti (forse un freccero direbbe così), essendo anche nel posto giusto. fa proprio cool, wow!
Il discorso è più ampio, è chiaro, e non generalizzabile.
Trovo/troverei, in epoca di cyber-borghesia (cui forse do un significato un poco diverso dal testo, d’altra parte mi pare di intravvedere fenomeni di benpensante conformismo telematico), molto più onesto e vero quel “non voglio più amici, voglio solo nemici” dei “vecchi” Litfiba, allora sì che -con John Doe- niente sarà mai più come prima
Condivido pienamente l’analisi. Sto vagliando un’ipotesi per la mia tesi che è all’incirca questa, ossia che ci si trovi di fronte (primavera araba e amministrative + referendum ITA) ad una cesura storica che può aprire una nuova fase di democrazia. Le innovazioni introdotte dal web 2.0 e il loro uso (che è andato oltre il narcisismo del self-marketing) hanno reso possibile il riaprirsi di una sfera pubblica al pubblico. Mi spiego meglio: se prima la sfera pubblica era RAPPRESENTATA nei media tradizionali (reality show o talk) e il pubblico era audince, ora, grazie al social networking, la sfera pubblica è diventata nuovamente quell’officina di opinione pubblica di cui proprio Habermas temeva di dover celebrare il funerale. In una nuova forma il pubblico sta ritornando ad essere pubblico, e con un’arma in più per partecipare alla vita democratica del villaggio globale.